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Lo sapete che la Germania non è un paradiso economico? Parla Sapir

E se la Germania non fosse quel paradiso economico che molti dipingono, ma dovesse gran parte del suo successo all’attuale funzionamento della moneta unica, a scapito dei Paesi del Sud dell’Europa?

LA TESI DI SAPIR
A rilanciare questi tesi – già avanzata dal Tesoro Usa nel suo rapporto semestrale sulle valute, descritta, dati alla mano, da un approfondito rapporto di Mediobanca e suffragata persino dall’inserimento di Berlino tra gli osservati speciali di Bruxelles da parte della Commissione europea a causa della sua politica incentrata sull’export – è Jacques Sapir, economista francese, direttore dell’École des hautes études in Scienze Sociali (EHESS) e autore del libro “Bisogna uscire dall’euro?” edito da Le seuil, nonché uno dei firmatari del Manifesto di solidarietà europea sponsorizzato in Italia dagli economisti anti-euro Claudio Borghi, Alberto Bagnai e Antonio Rinaldi.

UN FALSO MODELLO
In un’intervista di Yannick Curt pubblicata su Agrapresse e rilanciata dal blog Voci dall’estero, l’economista sottolinea come a suo modo di vedere “la Germania non è un modello“. “Possiamo dire – riassume – che le soluzioni che sono state adottate in Germania hanno funzionato solo perché i Paesi che la circondano non le hanno adottate. Se tutti la imitassero, il risultato sarebbe un fallimento generalizzato“.

RIFORME NON TRASFERIBILI
Eppure il fulcro delle riforme tedesche, che Bruxelles vorrebbe trasferire a tutta l’Eurozona attraverso strumenti come il Fiscal Compact (contro il quale in vista delle elezioni europee il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, ha convocato oggi una conferenza stampa) gode di ampia ammirazione. Perché ciò che ha funzionato a Berlino non dovrebbe funzionare altrove? “Perché – secondo Sapir – la Germania ha applicato all’interno dell’Eurozona una politica da battitore libero. Mentre tutti i Paesi erano impegnati a rilanciare l’economia a partire dal 2002, la Germania ha deciso di abbassare i suoi salari, ossia ha deciso di caricare sulle famiglie una parte dei costi che in precedenza venivano pagati dalle sue aziende, riducendo così i consumi interni. Ciò è stato possibile perché, contemporaneamente, i consumi dei Paesi circostanti continuavano ad aumentare. Se tutti avessero applicato il modello tedesco, si sarebbe creata una grave crisi dell’Eurozona già dal 2003/2004. È chiaro quindi che il modello non è generalizzabile“.

IL DECLINO DEMOGRAFICO
Per l’economista il modello tedesco farebbe leva anche su un declino demografico che assicura alla Germania un tasso di disoccupazione più basso di un “vicino” come Parigi. “C’è una differenza enorme – spiega – tra la Francia e la Germania: mentre in Francia ci sono tra i 650 e i 680mila giovani che si presentano sul mercato del lavoro, in Germania ce ne sono meno di 350mila. Abbiamo calcolato quale sarebbe il tasso di disoccupazione in Germania se essa avesse la stessa dinamica demografica francese: ci sarebbero dagli 1,5 ai 2 milioni in più di disoccupati. La Germania può permettersi di avere una politica di successo, nel breve termine, solo perché è in declino demografico“.

FALLIMENTO INEVITABILE
L’uscita dall’euro è dunque secondo Sapir una conclusione inevitabile. Tanto più a fronte del modo in cui Berlino trae vantaggio dalla moneta unica a scapito delle altre nazioni dell’Eurozona. “Prima dell’euro – argomenta l’economista-, c’era una tendenza alla rivalutazione del marco tedesco. I Paesi vicini, come la Francia o la Spagna, svalutavano regolarmente la loro moneta. L’euro ha congelato il tasso di cambio ai livelli del 1999. Abbiamo visto che anche con una politica monetaria uguale per tutti, l’inflazione è molto diversa nei diversi Paesi. In particolare, grazie all’euro la Germania gode di un tasso di cambio inferiore a quello che sarebbe il normale tasso di cambio per il marco tedesco, perché è nella stessa area monetaria della Spagna e dell’Italia. Questo le dà un notevole vantaggio nell’esportare nei Paesi al di fuori dell’Eurozona. Se guardiamo al saldo positivo della bilancia commerciale tedesca, si vede che fino al 2010 esso è stato fatto per lo più sull’area dell’euro; poi, avendo esaurito e, di fatto, distrutto il mercato interno dell’Eurozona, la Germania, a partire dal 2011-2012, ha ripreso massicciamente ad esportare al di fuori dell’Eurozona. Paesi come l’Italia, la Spagna o il Portogallo non hanno più soldi per comprare i prodotti tedeschi. Si è creato un sistema straordinariamente perverso, pericoloso per tutti questi paesi, e che – ammonisce – è una vera e propria bomba politica, perché vediamo montare in Europa un odio nei confronti della Germania“.

EURO FORTE E SALARI BASSI
Al centro del problema vi sarebbe dunque l’euro forte, un aspetto che per l’economista francese è tra l’altro la causa principale “della crisi greca“. “C’erano le esportazioni agricole in Bulgaria, in Romania e in Ungheria; esportazioni industriali verso il Medio Oriente e, soprattutto, la Grecia era il cantiere navale di tutto l’est del Mediterraneo, grazie ad una tradizione di esperienza nella riparazione delle navi. Tutto questo è scomparso con l’euro forte, perché i prodotti e i servizi greci sono diventati più costosi“. Ma anche una vera e propria distorsione salariale che fa di Berlino un Paese con manodopera competitiva oltre ogni limite. “C’è pochissima disoccupazione – rimarca – ma esistono tra i 6 e gli 8 milioni di lavoratori poveri. E in Germania si pone la questione se sia possibile armonizzare il costo del lavoro: è possibile, ma appiattendoli verso il basso, così provocando danni estremamente elevati. Sarebbe stato necessario – conclude –, per far funzionare un sistema eterogeneo di legislazione sociale, di protezione sociale, di salari, l’equivalente degli importi monetari compensativi (tasse all’esportazione), che funzionavano in Europa negli anni sessanta“.

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