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Vi spiego quanto costa all’Italia il Non Fare

L’Osservatorio del Non Fare ha calcolato in 383,5 miliardi di euro i “costi” a carico della collettività della mancata realizzazione fino al 2024 di opere strategiche per il Paese. Si tratta – ricorda il Sole 24 ore – di reti per l’energia (come il gasdotto Tap), di alta velocità ferroviaria (come la Tav) e altre infrastrutture fondamentali.
Un fardello che una nazione in crisi come l’Italia non può permettersi secondo Alessandro Beulcke, presidente di Aris, l’organizzazione che gestisce Nimby Forum, il Festival dell’Energia e altri progetti di divulgazione, che in una conversazione con Formiche.net spiega come e perché il Paese deve cambiare passo.

Beulcke, come giudica gli importi sui “costi del non fare”?
Quelle analisi mi trovano banalmente d’accordo. Ormai viviamo il paradosso di vivere una severissima crisi economica e di permetterci di essere scarsamente attrattivi. Nell’ultimo Nimby Forum abbiamo contato circa 354 opere bloccate in tutta Italia.

Come mai è esploso il fenomeno di ostruzione alle opere nel nostro Paese?
Perché si è passati da un Not in my backyard (Nimby) classico a proteste che sono connesse politicamente con le opposizioni dei territori. A questo si somma il paradosso del cosiddetto parere “non vincolante” dei livelli locali. Un governo serio dovrebbe avere la facoltà e assumersi la responsabilità di procedere anche contro questo parere, se tutte le fasi precedenti di concertazione e procedurali si sono svolte correttamente e hanno portato ad un esito positivo.

E invece?
Invece accade che da un parere non vincolante si passi a uno politico, quindi definivo, o peggio, che porta a ritardare il decreto di Via (valutazione d’impatto ambientale) per l’effettivo avvio dei lavori, scoraggiando gli investitori. La motivazione usata più spesso a livello locale per opporsi all’opera o per giustificare questo parere “non vincolante” è la cosiddetta vocazione turistica del territorio. Istanza giusta, per carità, ma spesso bisognerebbe anche interrogarsi sul perché in molti posti questa sia rimasta per l’appunto sempre e solo una “vocazione”, senza mai tradursi in qualcosa di concreto.

Le coste salentine dove dovrebbe arrivare il gasdotto Tap non sono però davvero una meta turistica?
San Foca è un’area turistica, lo sappiamo tutti, ma non è chiaro quali effetti devastanti possa avere sull’area del sud della Puglia un gasdotto dall’impatto ambientale risibile. Nel momento in cui c’è un’opposizione legittima ad un’opera, credo che questa dovrebbe essere suffragata anche da controproposta.

Come risolvere questi problemi?
Sgombriamo il campo da equivoci. Come ho spesso ribadito anche nel corso del Nimby Forum, sbaglia chi parla di “militarizzazione” del territorio. C’è bisogno innanzitutto di una riforma legislativa che passi attraverso l’abolizione o una radicale revisione del Titolo V. E poi è prioritario che si definiscano processi partecipativi che arrivino però a processi decisionali seri. Mi spiego meglio: un esempio concreto sarebbe l’introduzione della procedura del Débat public, dove dopo una fase concertativa conclusa positivamente non ci sia più la possibilità per cittadini e Comuni, dopo un certo lasso di tempo, di rivedere la propria posizione, magari spinti da necessità politiche. Oltre a uno snellimento della macchina burocratica.

Non è più facile a dirsi che a farsi?
Guardi, credo che sia il principio di fondo che non funziona. Prendiamo il caso del petrolio. Oggi semplicemente per ottenere una esplorazione preliminare con un radar per sapere se al di sotto di un terreno ci sono idrocarburi, senza dunque nessun impatto, bisogna passare da complicatissime valutazioni ambientali. E poi non conosco nessun Paese al mondo che abbia risorse petrolifere e minerarie e che le lasci nel terreno. Serve una svolta culturale, prima che legislativa e politica.

Come realizzarla?
La strada è quella della comunicazione e della trasparenza. In questi giorni abbiamo avuto un esempio concreto su quanto avvenuto a Gioia Tauro, dove sono transitate le armi chimiche siriane. Sarebbe bastato informare i sindaci e le comunità locali per tempo sulla pressocché assenza di rischi di queste navi – e informare i media di averlo fatto – per scongiurare ogni tipo di protesta. Credo che questa sia la strada. Coinvolgimento, convincimento, regole certe.

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