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Siria, perché gli Usa non possono che confidare nel Cremlino

Il 22 gennaio avrà inizio in Svizzera una seconda conferenza internazionale sulla crisi siriana. È organizzata dall’ex-ministro degli esteri algerino, Lakhdar Brahimi, inviato speciale per la Siria del Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon. La conferenza, denominata Ginevra 2, segue quella tenuta nel novembre 2011. Essa non ha avuto risultati pratici soprattutto per le differenti posizioni degli USA e della Russia sulla sorte del presidente siriano Bashar al-Assad. Washington e il Consiglio Rivoluzionario Siriano pretendevano che lasciasse, come precondizione di qualsiasi negoziato. Sottovalutavano la capacità di tenuta del regime alawita. Mosca, valutandola molto più correttamente, non accettava tale precondizione.

IL NUOVO NEGOZIATO
Oggi le cose sono parzialmente mutate. Il nuovo negoziato segue l’accordo russo-americano del 3 settembre 2013 sulla distruzione delle armi chimiche siriane, la cui attuazione procede regolarmente. Segue anche un altro accordo: quello sul nucleare iraniano del 23 novembre scorso. Pur non influendo direttamente sulla situazione siriana, esso testimonia l’esistenza di un muovo rapporto fra gli USA e il regime iraniano, il quale è, con la Russia, il principale sponsor di Assad.
Invece di realizzare una diminuzione degli scontri, l’accordo sull’arsenale chimico ha dato nuovo impulso alla repressione condotta dal regime di Assad. Lo ha galvanizzato per vari motivi: l’evidenza dell’impossibilità di un intervento armato USA a sostegno dell’insurrezione, come avvenuto in Libia tre anni fa; la legittimazione di Assad, trasformatosi da paria e criminale di guerra in partner della comunità internazionale, per il trasporto e la consegna delle armi chimiche; la frammentazione dell’insurrezione, facilitata anche dal collasso in Egitto della Fratellanza Musulmana, riferimento politico principale delle fazioni moderate degli insorti; il peso crescente che hanno sul terreno le forze jihadiste più radicali e l’altrettanto crescente timore che esse prendano il potere in Siria, trasformandola in una base dello jihadismo, prossima all’Europa; il fatto che la Russia, da sempre sostenitrice di Assad, che rifornisce di armi e munizioni, è divenuta l’interlocutore indispensabile, più ancora che gli USA, paralizzati dalla riluttanza ad intervenire nuovamente nel ginepraio mediorientale. Senza una credibile minaccia dell’uso della forza, non si vede come si possa risolvere la situazione di stallo esistente nel confronto militare fra Assad e gli insorti.

UN COMPITO DIFFICILE
I negoziatori di Ginevra 2 hanno un compito molto difficile. Secondo taluni è del tutto improbabile qualsiasi accordo. Neppure uno che si limiti all’umanitario. Mi sembra che sia da escludere la possibilità di un’intesa che faccia cessare i combattimenti e che preveda la costituzione di un governo transitorio. Divisa non è solo l’opposizione, frammentata, sia politicamente che militarmente. Divisi fra loro sono anche i sostenitori esterni delle varie fazioni in lotta. La Siria non è teatro solo di una guerra civile, ma di numerosi conflitti per procura: sunniti contro sciiti; Arabia Saudita contro Iran, ecc. L’Arabia Saudita e il Qatar sostengono con armi e denaro anche i gruppi più radicali. L’Iran con cospicui fondi e truppe speciali il regime di Assad. Per l’opposizione saudita, l’Iran non è stato per ora invitata alla conferenza. Ciò indebolisce ulteriormente la possibilità di accordo. Almeno in linea teorica, infatti, Teheran potrebbe dare un apporto importante all’individuazione di un qualche compromesso, data anche la sua influenza sull’Hezbollah libanese, mobilitatosi in massa per sostenere Assad.

IL DESTINO DI ASSAD
Il punto chiave del negoziato riguarda sempre la sorte dell’attuale presidente siriano. La sua eliminazione da ogni ipotesi di governo transitorio è irrealistica. L’esercito governativo, a lui fedele, è all’offensiva. Comunque, costituisce l’unica forza in grado di evitare un caos del tipo di quello verificatosi in Iraq, la divisione del paese e i Jihadisti ne assumano il controllo. Le speranze occidentali in un colpo di stato militare che cacciasse Assad sono cadute completamente. Assad è sempre più che determinato a non lasciare il potere. Le sue forze mantengono una certa coesione e capacità combattiva. Saranno indispensabili per contrastare l’evento che non solo l’Occidente, ma anche la Russia e l’Iran temono maggiormente: che cioè il potere cada nelle mani dei jihadisti, affluiti in massa in Siria da tutto l’Islam ed anche dall’Europa e dallo stesso Afghanistan. La loro presenza viene vista favorevolmente dalle dinastie del Golfo.

LA LOTTA TRA SUNNITI E SCIITI
I jihadisti sono in prima linea nella feroce lotta in corso fra Sunniti e Sciiti. In particolare, indeboliscono con i loro continui attentati il filo-iraniano governo di Baghdad. Il vento sta mutando, almeno a Washington. L’accordo transitorio sul nucleare iraniano e gli aiuti militari concessi da Washington al governo al-Maliki lo dimostrano. I tempi non sono ancora maturi per un mutamento delle alleanze degli USA in Medio Oriente. L’incertezza sul futuro renderà più difficile la conclusione di Ginevra 2 con un accordo. Non si sa neppure fino a quanto gli USA siano impegnati a ricercarlo: mantengono un atteggiamento oscillante fra la richiesta di cambio di regime e d’uscita di scena di Assad e la sua accettazione come interlocutore, se non come partner, per la ricerca di una soluzione.

PRESTIGIO IN CALO
Il prestigio statunitense e, con esso, quello dell’intero Occidente è ai suoi minimi storici in tutto il Medio Oriente. Le principali speranze di Washington sono riposte nella Russia. Che cioè almeno Mosca, preoccupata dal diffondersi dello jihadismo e dai ripetuti attentati dell’Emirato del Caucaso sul suo territorio, sappia che cosa fare a Ginevra 2. Non risulta che gli USA siano giunti ad un intesa con l’Iran sul caso siriano, né che siano intenzionati a prendere contatti e possibilmente accordi con Assad, come ha recentemente suggerito l’ex-ambasciatore Ryan Crocker, protagonista, con il generale Petraeus del surge in Iraq. Certamente per Obama è un boccone molto amaro da trangugiare. Ma tant’è! Un completo fallimento di Ginevra 2 lascerebbe gli USA ancor più invischiati nel ginepraio mediorientale e sottoposti al rischio che la situazione si aggravi ulteriormente e che il contagio jihadista si diffonda dalla Siria agli Stati vicini.

L’IMPORTANZA DI MOSCA
Se esiste la possibilità di qualche esito positivo per gli USA a Ginevra 2, essa – piaccia o no – dipende dal loro allineamento con il Cremlino. Con la sua capacità diplomatica e la comprensione delle realtà siriane è ancora una volta Putin a dirigere la “danza”. Può darsi che Obama ne sia consapevole. Se per Enrico IV, Parigi valeva una messa, può darsi che, pur di salvare la faccia a Ginevra 2, Obama cambi idea e decida di presenziare all’inaugurazione dei Giochi invernali di Sochi.

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