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Le ragioni di Susanna Camusso e quelle di Maurizio Landini

È vero che regole del gioco prive di sanzioni per chi non le rispetta si trasformano inevitabilmente nel gioco delle regole. Tuttavia, quando le regole contrattuali e della rappresentanza mutano radicalmente, ossia il ruolo stesso del sindacato, non è irragionevole chiedere che i lavoratori interessati possano esprimere la loro opinione.

Ma non è certo questo il nocciolo del dissenso attuale tra Susanna Camusso e Maurizio Landini. Esso allude a una frattura più profonda, che investe la stessa natura confederale del più grande sindacato italiano. Come è noto, la Cgil è una confederazione di lavoratori, mentre la Cisl è una confederazione di categorie. Non è una differenza solo di carattere statutario. In tale differenza si riflette un’idea dell’unità di classe come valore assoluto, a cui subordinare le istanze settoriali e corporative.

In questo sistema di riferimento, i vantaggi – salariali e normativi – di cui possono godere gruppi particolari di lavoratori sono visti come “condizioni di miglior favore”, cioè conquiste da estendere a tutti. Quando questa prospettiva diventa incerta, a causa di una recessione durissima e di quei cambiamenti produttivi che vanno sotto il nome di postfordismo, entra in crisi il solidarismo intercategoriale che appartiene al codice genetico della Cgil. Nel corpo dei suoi rappresentati, allora, si possono manifestare contraddizioni laceranti, fino a mettere in discussione il primato decisionale dei vertici di Corso d’Italia.

In questo senso, forse il problema oggi più spinoso per Camusso non è la Fiom, ma proprio la Cgil. È cioè il suo centralismo organizzativo, ormai in contrasto con la realtà odierna del lavoro e dell’impresa. Del lavoro frantumato e precario, dell’impresa dispersa e diffusa.

Parlo di quel centralismo organizzativo che affonda le sue radici in un malinteso principio, secondo il quale la confederalità è un ordinamento gerarchico. Mentre non ha fondamento alcuno – né teorico né storico – l’identificazione dell’interesse particolare con il basso e dell’interesse generale con l’alto. Uno schema che, al contrario, tende a favorire le inerzie della burocrazia e a penalizzare le esigenze dell’innovazione.

Diciamoci le cose come stanno. Da una donna per la prima volta alla guida di un soggetto di massa dalla inveterata tradizione maschilista ci si poteva aspettare più coraggio. Più coraggio nel riconoscere e valorizzare i diversi saperi e poteri, le diverse verità territoriali e settoriali che costituiscono un inestimabile patrimonio culturale e rivendicativo della confederazione di Giuseppe Di Vittorio, Luciano Lama e Bruno Trentin.

 

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