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La Fiom sbaglia, ma merita rispetto

Dalla polemica all’insulto, dall’insulto all’istigazione alla violenza il passo è breve. Giorgio Cremaschi non sarà uno stinco di santo, e sarà anche a caccia di pubblicità con ogni mezzo, ma il trattamento che gli è stato riservato venerdì scorso – all’assemblea dei delegati  lombardi della Cgil – è il sintomo di una leadership debole e confusa.

Non credo che un episodio simile sarebbe potuto accadere con un Luciano Lama o un Bruno Trentin sul palco della presidenza. La verità è che la confederazione di Corso d’Italia non soffre di una deriva autoritaria, come denuncia Maurizio Landini, bensì di un deficit di autorevolezza del suo gruppo dirigente. Un gruppo dirigente prima spiazzato dalla scomparsa dei partiti che tradizionalmente ne avevano modellato i rapporti di forza politici; poi spiazzato dalla crisi del centralismo contrattuale e della concertazione, armi sempre più spuntate di fronte ai cambiamenti radicali della demografia, del lavoro e della produzione.

Voglio dire che il contestato testo che disciplina l’accordo sulle regole della rappresentanza sindacale è l’espressione di un dissenso che viene da lontano. La Fiom non è una scheggia impazzita della Cgil, ma una storica articolazione del suo pluralismo interno. In questo senso, merita rispetto. Le si potrà obiettare che non esistono regole del gioco senza sanzioni per chi le viola e senza un arbitro che ne garantisca il rispetto. Ma non si può rispondere alla sua legittima richiesta di verificare se i giocatori lo condividono, opponendo la sovranità dello Statuto o il primato del potere gerarchico della confederazione.

Quello tra Camusso e Landini, in fondo, è un contrasto tra diverse culture rivendicative e tra visioni differenti dell’autonomia sindacale, che chiamano in causa una forma organizzativa ricalcata su quella del vecchio partito di massa: vertice confederale che concentra in se stesso il monopolio delle scelte strategiche e che detta la “linea politica”, a cui si debbono uniformare tutte le strutture periferiche. In questo schema, sono sacrificate proprio quelle risorse che sono decisive per avviare un processo innovativo: le risorse della sperimentazione, della libera circolazione delle esperienze e della promozione di nuovi quadri dirigenti.

Beninteso, Camusso non sarà d’accordo, ma a me sembra che il modo con cui ha affrontato lo scontro con Landini rifletta una classica condizione di burocratizzazione della Cgil, che forse assicura stabilità e conservazione, ma che non è in grado di promuovere mediazioni e sintesi condivise, ovvero l’unico strumento attraverso cui è possibile dirimere questioni controverse. Se così è, non si capisce però il motivo per cui il segretario della Fiom non ha ancora deciso di scendere apertamente in campo nella campagna congressuale della Cgil con una mozione alternativa. Prudente realismo o scaltro tatticismo, il suo? Lo vedremo presto.

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