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Siria, la Giordania cambia posizione sul supporto all’opposizione?

Se n’era parlato più o meno una settimana fa: un caccia – o più di uno – giordani, hanno attaccato un gruppo di pick-up al confine siriano. Le circostanze non erano troppo chiare, anche perché le dichiarazioni ufficiali del governo di Amman erano state evasive e prive di dettagli.

A distanza di giorni si può avere un po’ di chiarezza in più su quello che è successo, attraverso ricostruzioni – non ufficiali, comunque – che permettono anche di fare un ragionamento su quello che sarà il futuro ruolo della Giordania, nei rapporti con l’opposizione armata in Siria.

Inizialmente erano circolate voci che parlavano di veicoli guidati da membri dell’Isis, che stavano intraprendendo il loro primo assalto verso un campo di addestramento costruito in Giordania dai militari americani per preparare i soldati iracheni. Voci poi smentite, che hanno portato successivamente a far assumere maggiore consistenza alla ricostruzione secondo cui nelle auto viaggiassero ribelli “certificati”, e cioè uomini appartenenti ai gruppi addestrati e aiutati dall’intelligence giordana – e saudita e americana – attraverso la nota joint operations room di Amman (la base operativa, da cui si dà supporto strategico e logistico ai guerriglieri non legati alle attività jihadiste).

All’interno dei pick-up, a quanto pare ci sarebbero state armi: le stesse armi che dalla Giordania dovevano arrivare in Siria, e che molto spesso ormai ritornano indietro per essere vendute nei mercati di contrabbando. Le forniture di armamenti negli ultimi mesi, sono aumentate di quantità – tutto per permettere l’organizzazione dell’operazione del Fronte Meridionale, che avrebbe poi aperto la via per Damasco da sud. L’aumento degli armamenti facilita il crearsi di surplus che i guerriglieri possono piazzare a migliori offerenti illegalmente: l’intelligence giordana sarebbe preoccupata, e starebbe per questo ripensando, in parte, la sua fiducia nei confronti del Fronte Sud.

La zona dell’attacco – area del distretto di Ruwaished, ad est (verso l’Iraq) del governatorato di Mafraq – è controllata dall’emiro Bashar al-Zoubi, avvicinato alla Jabhat al-Nusra dai servizi segreti giordani, che hanno permesso ad al-Nusra di diventare prominente nell’area, anche con il fine di controllare i salafiti giordani che si muovono verso la Siria. L’alleanza tra Zoubi e i giordani è forte, tanto che ne hanno fatto l’uomo più potente del sud della Siria – divenuto tale anche a seguito di misteriosi omicidi di “emiri” rivali.  In Giordania ci si fida al punto di aver favorito attraverso di lui un incontro (avvenuto nell’autunno scorso) tra il vice ministro della difesa saudita Salman bin Sultan e il numero uno del gruppo (affiliazione locale di al-Qaeda), Abu al-Golani. Zoubi (già capo della Yarmouk Division dell’Fsa, anche per questo fidato), è stato messo, tempo fa, alla guida del Fronte Meridionale.

Dunque che cosa sta succedendo?

Attualmente il problema, a quanto pare, non è Zoubi, ma gruppetti sottoposti che operano più o meno indipendentemente – sarebbero questi i responsabili del contrabbando di armi. Alcuni starebbero ricattando il governo giordano per ottenere più aiuti, e sarebbe addirittura da ricondurre a tali pressioni il rapimento in Libia dell’ambasciatore del regno – operato attraverso associati locali. In quest’ottica il raid aereo sarebbe la risposta a certe intimidazioni.

Ma potrebbe esserci dell’altro dietro alla decisione giordana – per altro tutta da verificare – di rallentare il supporto ai ribelli. Alcuni siti specializzati in Medio Oriente, riportano le parole di un diplomatico russo, che attribuirebbe tale scelta ad un altro genere di pressione: quella di Mosca su Amman. Durante la visita ufficiale di Abd Allah, Putin avrebbe messo in guardia il re giordano sul fatto che la Russia sarebbe costretta ad aumentare il supporto a Damasco, se Assad si trovasse stretto tra due fronti. E d’altronde, in questi giorni, lo stesso Putin ha fatto sapere che l’importanza di Tartus – base militare russa sul Mediterraneo siriano già puntellata con l’invio di missili Yakhont il maggio scorso – è analoga a quella di Sebastopoli (ragion per cui la deterrenza trova esempi concreti e non troppo distanti nel tempo).

In più la Giordania, ha anche una ragione pragmatica nel rallentare i lavori dell’offensiva meridionale (che pure sta riportando buoni successi nelle zone intorno a Daraa): l’apertura del nuovo fronte, potrebbe avvicinare ancora di più il conflitto ai confini – circostanza da sempre scongiurata da Amman, che ultimamente non si fida più delle rassicurazioni americane in merito (gli americani parlavano di “zona cuscinetto”, d’allontanamento, ma invece i giordani vedono il pericolo avvicinarsi).

I rischi sarebbero ovvi, e a questi vanno aggiunti quelli che la notizia dell’incontro con al-Golani si tira dietro: al-Nusra è in lotta con l’Isis, problema che potrebbe portare un nuovo nemico dentro il territorio giordano, un nemico fatto di attentati e omicidi contro chi se la intende con l’Occidente e con l’apostata Zawahiri (guida suprema di al-Qaeda e referente superiore di Golani e al-Nusra).

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