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Chi è Andrea Resti, il bocconiano che ha fatto divampare l’incendio in Ubi Banca

“Mi occupo di banche e finanza. Credo nelle regole e nelle persone. Hobby: guardare i miei figli senza stancarmi mai”. Due righe significative, quelle con cui sceglie di descriversi nel profilo Twitter Andrea Resti, classe 1965, laureato in Economia a Brescia, specializzato in Mercati finanziati a Bergamo e che, tra le altre cose, siede nel Consiglio di Sorveglianza di Ubi.

IL MANTRA

Uno del territorio, dentro una banca del territorio, anche se ritiene che sia ora di dire “basta con senesità e bergamaschità come criteri di selezione dei Cda”. Uno che, come si apprende dalla biografia ufficiale sul sito dell’Eba, in cui ricopre il ruolo di vice presidente del Banking stakeholder group dal 30 ottobre scorso, fa anche il professore associato all’Università Bocconi, dopo aver lavorato per sette anni alla Comit e per altri sette all’Università di Bergamo.

IL CURRICULUM

Inoltre, è autore di diversi libri su risk management e banking e di articoli scientifici ospitati da riviste come il Journal of Financial Intermediation, Journal of Business, Journal of Banking and Finance. Nel passato ha fatto il consulente per Banca d’Italia e per molte banche commerciali domestiche. Per lui tutto questo è “occuparsi di banca e finanza”. Senza neppure stare attaccato alla poltrona, visto che predica – e pratica – “l’importanza di passare la mano per favorire il cambiamento”.

L’INCHIESTA
E, ultimo ma non ultimo, Resti è l’uomo che nella banca nata dalla fusione di Popolare di Bergamo con altre sorelle minori ha scatenato il putiferio. Lo scorso luglio, infatti, insieme agli altri consiglieri di sorveglianza Dorino Agliardi, Luca Vittorio Cividini, Marco Gallarati, Maurizio Zucchi ha presentato un esposto sulla presunta esistenza di patti parasociali non comunicati alle competenti autorità. Da cui è partita l’inchiesta che in questi giorni infiamma le cronache. In soldoni, due gruppi di azionisti, e cioè l’Associazione Amici di Ubi, presieduta da Emilio Zanetti fino al 2008 e poi da Antonio Parimbelli, e l’Associazione Banca Lombarda e Piemontese, guidata da Giovanni Bazoli, avrebbero usato regole non scritte per predeterminare i vertici di Ubi senza che l’autorità di vigilanza ne fosse a conoscenza: oggi sono accusati di averne dunque ostacolato l’attività.

TRASPARENZA E VERITA’

E che questa iniziativa portasse la firma e le istanze di Resti c’era da aspettarselo. Lo si evince da come è iniziata la sua storia in Ubi e della caratura dell’uomo. Professore amato dagli studenti, che parla senza usare anglismi o termini tecnici che fanno fumo e nascondono l’arrosto, è uno che non le manda a dire. E sulle banche, che sono il suo pane, va dritto al punto. “Il Bankistan – ha scritto per esempio sulla Voce.info – è un Paese enorme e poco noto, che per anni è stato affetto da un impressionante numero di disastri aerei. Circostanza assai sfortunata, visto che il Bankistan dipende pesantemente dagli aeroplani per trasferire risorse dalle regioni in surplus a quelle in deficit. Le autorità hanno sperimentato molti sistemi per ridurre la frequenza, o almeno la gravità, degli incidenti. Piste di atterraggio più lunghe, aerei più piccoli, vincoli sulla quantità massima di carburante, separazione tra vettori e gestori degli scali… ma per anni ogni misura è parsa vana. Finché a qualcuno è venuta l’idea di controllare che i conducenti avessero il brevetto di pilota, scoprendo che molti ne erano sprovvisti. Qualcuno ci sapeva fare con la chitarra elettrica, altri col lavoro a maglia; altri ancora (i “tecnici”) sapevano guidare la Panda”. Un colpo ben assestato – ma con il sorriso – sui Cda, che “dovrebbero sorvegliare i vertici, agendo da tempestivo contrappeso agli eccessi di sicurezza che possono portare anche il migliore dei banchieri a inanellare una sequenza di mosse azzardate”.

IL BREVETTO DA PILOTA

Resti il brevetto da pilota ce l’ha e l’ha usato. E d’altronde per lui il ruolo di castigatore non è nuovo: negli anni ha infatti collaborato con diverse procure, come perito tecnico in scandali finanziari che vanno da Unipol e Bnl, fino ai Furbetti del quartierino e al crac Burani. «Una delle mie caratteristiche – diceva un anno fa – è un forte senso di giustizia e rispetto delle regole. Nella mia attività a supporto delle procure ho capito quali sono le patologie che possono far saltare una grande banca popolare, come quella di Lodi, la banca di Fiorani, dove di fatto c’era un gruppo dirigente autoreferenziale che nessuno osava mettere in discussione e che purtroppo in quel caso era dedito ad attività illecite. Questo meccanismo ha impedito alla banca di sviluppare quegli anticorpi adeguati per salvarsi».

GLI ANTICORPI 

A quanto pare anche Ubi quegli anticorpi non li ha sviluppati adeguatamente. La storia di Resti in Ubi inizia il 20 aprile 2013, quando il professore si presenta, terzo incomodo, all’assemblea con la lista “Ubi, banca popolare!” per accedere alla presidenza del consiglio di sorveglianza. Lo dice chiaro e forte: correttezza, austerità, trasparenza ed efficienza devono essere i valori a cui la banca deve ispirarsi, mettendoli in pratica. E deve farlo innanzitutto separando i poteri dei controllori dai controllati: «Dovrebbero rimanere distinti. In consiglio di gestione ci stanno i manager, persone che andrebbero selezionate all’interno della banca, e sopra di loro c’è il cane da guardia, ovvero il consiglio di sorveglianza. Non è accettabile il fatto che ci siano ex consiglieri di gestione, promossi al piano di sopra, che si trovano a sorvegliare le decisioni che hanno preso loro stessi l’anno prima».

LE LOTTE

Non solo: è necessario ridurre «incrostazioni e commistioni di potere», tra l’altro molto costose. «La nostra lista ha solo 18 candidati, mentre il consiglio di sorveglianza ne prevede 23 – diceva – È dunque più simile a una riunione di condominio, un meccanismo assurdo che rende difficile interloquire e sindacare con il rischio di far passare decisioni prese prima delle riunioni. Il paradosso è che se si riducesse il numero dei consiglieri si spenderebbe di meno ottenendo anche una migliore gestione della banca».

Resti non ha vinto, ma è stato superato dal presidente uscente Andrea Moltrasio, rappresentante la continuità. Ma è riuscito comunque a vincere in qualche modo. E sì che ha un asso nella manica, che ha reso il compito meno arduo. «Il mio vero lavoro è quello di papà di due bambini di tre e cinque anni. E tutte le cose che faccio tendo a vederle con i loro occhi, cercando di fare soltanto delle cose di cui possa essere orgoglioso quando loro saranno abbastanza grandi per poterle giudicare”.

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