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Ecco perché Russia e Cina non domineranno l’Eurasia

Il maxi-contratto sulla fornitura di gas siberiano alla Cina è stato interpretato come un primo passo per la creazione di un blocco continentale eurasiatico, di fatto anti-occidentale. Il “triangolo strategico” fra Stati Uniti/Europa, Russia e Cina si sarebbe rovesciato. Sono finite sia l’alleanza fra Washington e Pechino, iniziata con il viaggio in Cina di Nixon e Kissinger nel 1972 e continuata con Chimerica (China and America), sia l’ipotesi di un’Alleanza del Nord, accarezzata da taluni con la costituzione del G-8, cioè con l’associazione della Russia all’Occidente.

FORTE TENSIONE

Il viaggio di Putin in Cina è avvenuto in un momento di forte tensione fra Mosca e Washington, dovuta al problema ucraino. Andando a Pechino, Putin ha voluto senz’altro attenuare il rischio dell’isolamento della Russia, per le sanzioni occidentali. Ma, sta sorgendo un nuovo asse fra Mosca e Pechino? E’ possibile che le rivalità ed i sospetti fra i due Stati siano cessati? Vogliono davvero accelerare la completa scomparsa dell’ordine mondiale unipolare, centrato sugli USA? Quali saranno le reazioni degli altri Stati? Sono interrogativi a cui si cercherà di dare risposta.

LE RAGIONI DELLA COOPERAZIONE

Cina e Russia hanno molti motivi per cooperare. Entrambe contestano l’ordine mondiale, centrato sugli USA, esistente nei due decenni del “momento unipolare” seguito alla guerra fredda e al collasso dell’URSS. Vogliono prendersi la rivincita dei torti subiti nel passato. La Russia dalla fine della guerra fredda. La Cina nel “secolo delle umiliazioni”, iniziato a metà XIX secolo con la “guerra dell’oppio”. Nelle opinioni pubbliche, sia cinese che russa, domina il risentimento nei confronti degli USA, non tanto o non solo per quello che fanno, ma per quello che sono: potenti, ricchi e arroganti. I loro gruppi portaerei e anfibi dominano gli oceani. Le periferie della massa continentale eurasiatica sono loro alleate. La sfortunata “guerra al terrore”, in Iraq e in Afghanistan, ha diminuito il prestigio degli USA e la loro voglia di impegnarsi nel mondo. Il presidente Obama si è rivelato inadeguato a gestire il declino dell’influenza americana nel mondo. Con le sue indecisioni è passato da un’umiliazione all’altra. Basti pensare alla Siria e all’Ucraina. Gli USA godono ancora di una notevole superiorità economica, militare e culturale. Disporre della potenza non basta: occorre possedere anche la volontà d’impiegarla o, almeno, far sì che gli altri credano che tale volontà esista.

LE MOSSE DI OBAMA

Con il Pivot on Asia, Obama ha perso l’Europa senza guadagnare l’Asia. Con la TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) e con la TTP (TransPacific Partnership, che esclude Pechino ha irritato non solo la Cina, ma anche gli alleati asiatici degli USA. Essi non vogliono essere posti nella necessità di dover scegliere fra Washington e Pechino. Hanno bisogno del primo per la loro sicurezza; del secondo per l’economia.

LA LOGICA DELLA REALPOLITIK

La possibilità di un consolidamento del blocco occidentale tramite il TTIP e la riforma della NATO preoccupa la Cina e la Russia. Entrambe cercano d’impedirlo, alternando lusinghe, promesse d’investimenti e minacce. E’ la logica della Realpolitik sempre utilizzata dalle grandi potenze. Il problema è che le potenze emergenti non hanno concordato le regole di un nuovo ordine. Le istituzioni multilaterali non tengono più. Le nuove potenze sono troppo disomogenee rispetto alle vecchie. Un accordo fra loro è impossibile. Una sfida diretta contro gli USA sarebbe troppo pericolosa.

INCERTEZZA E SFIDUCIA

L’incertezza, la sfiducia e i sospetti dominano. La debolezza degli USA rappresenta un incentivo per Putin per prendersi la rivincita di quello che considera il più grande disastro geopolitico della storia: il collasso dell’URSS. Attua il suo proposito con grande capacità. Con Obama, gioca come il gatto fa con il topo. Alterna toni concilianti, con minacce. E’ però debole e sa di esserlo. La Russia non è una piccola URSS. Non sa modernizzare la sua economia. E’ divenuta un petrostato, dipendente dalle decisioni di mercati delle commodities, che sfuggono al suo controllo.

LE DIVISIONI DELL’OCCIDENTE

Anche la Cina, con altrettanta se non con maggiore flessibilità della Russia, gioca sulla crisi economica dell’Occidente e sulle sue divisioni. Come Putin, Xi Jinping sa però di essere vulnerabile. Con le riforme di Deng Xiaoping e l’integrazione nell’economia mondiale, da continente praticamente autonomo, la Cina si è trasformata in un’isola. Dipende dalle vie di comunicazione marittima, dominate dalle marine degli USA e dei loro alleati. Dipende poi troppo da esportazioni che potrebbero essere grandemente danneggiate da misure protezionistiche americane. Sa che il “re dollaro” manterrà la sua supremazia. La fornitura trentennale di gas dalla Russia sarà pagata da Pechino in dollari, non in rubli o in yuan. Vuole però divenire il centro del nuovo ordine mondiale e disprezza sempre meno velatamente Mosca per non aver saputo modernizzare la sua economia, eccezion fatta per i settori nucleare, spaziale e militare. Ha interesse ad avere accesso alle risorse naturali russe. Può però trovare forniture alternative.

IL DILEMMA RUSSO

La Russia può invece trovare sbocchi alle sue esportazioni solo in Europa, con cui rischia però di trovarsi ai ferri corti. In sostanza, la Russia ha bisogno della Cina, più di quanto la seconda abbia bisogno di lei. L’orgoglio russo impedisce a Putin di accettare di essere un junior partner della Cina. Non se ne fida più di quel tanto, specie per l’incessante penetrazione cinese in Asia Centrale e nelle Province Marittime. Certamente nella sua visita in Cina, conclusasi con l’entusiastica notizia del maxi-contratto trentennale sul gas, Putin ha dovuto ingoiare molti rospi. Aveva disperatamente bisogno del supporto dei cinesi che ne hanno approfittato, “tirando” sul prezzo. Non si conoscono nel dettaglio le clausole finanziarie del contratto. Certamente esse sono pesanti per la Russia, malgrado sia stato accompagnato da accordi sull’aumento del commercio sino-russo e sull’esportazione in Cina di armi e relative tecnologie russe. A quest’ultimo proposito, Putin sa che Pechino sta utilizzando queste ultime per fare concorrenza alle industrie russe di armamenti.

UN RAPPORTO DELICATO

L’entità del gas russo che importerà la Cina non è impressionante. Si tratta di 38 miliardi di metri cubi all’anno, a partire dal 2018, rispetto ai 160 che oggi Gazprom esporta annualmente in Europa. Coprirà sì e no il 10% dei consumi cinesi del 2030. Pechino non ha affatto l’intenzione di seguire una strada autonoma per approvvigionarsi dall’arma del gas da parte del Cremlino. Entrambe sanno poi che un rafforzamento dei legami strategici fra i due Paesi, provocherebbe quello degli USA con i loro alleati sia europei che asiatici. Mosca non può appoggiare più di quel tanto la Cina per le questioni che più stanno a cuore a Pechino: la sovranità sui Mari Cinesi orientale e meridionale. Se lo facesse nel primo si inimicherebbe il Giappone; nel secondo, l’India. Con entrambi i Paesi, la Russia cerca invece di consolidare i propri rapporti politici ed economici. Non può rinunciare alle opportunità offerte dall’India, dove il nuovo premier Modi ha annunciato un grandioso piano di riarmo, di fatto anti-cinese.

ASSE IMPROBABILE

Insomma, un asse fra Pechino e Mosca per il dominio dell’Eurasia e delle sue periferie, appare improbabile. Lo SCO (Shanghai Cooperation Organization) – co-presieduta da Mosca e Pechino – non si trasformerà in una alleanza eurasiatica, volta a dominare il mondo. Agli europei va bene così. L’unica cosa che possono fare per frenare il loro declino, è legarsi il più strettamente possibile agli USA. Solo così la loro inevitabile “uscita dalla storia”, che hanno dominato per quasi cinque secoli, potrà avvenire con un “atterraggio morbido” e indolore, in attesa che la crisi demografica neutralizzi le ambizioni russe e cinesi. Allora inizierà una nuova fase nella storia del mondo, con la crescita della potenza indiana e di quella del continente africano.

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