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Perché Confindustria non sprizza ottimismo sull’economia italiana

Vi sono tre fattori, secondo il Centro studi di Confindustria (Csc), che congiurano nell’abbassare la crescita potenziale: il minore dinamismo del commercio estero, che nel post-crisi manifesta un andamento pressoché piatto (a causa anche di strategie di accorciamento a livello regionale delle catene di valore e del rimpatrio di produzioni, oltre che di protezionismo strisciante, secondo il Centro Studi Confindustria); gli investimenti che restano stagnanti perché persiste elevata incertezza sull’evoluzione della domanda; inoltre, la riduzione dei rapporti di indebitamento esercita una forte azione frenante sulla crescita, mentre il nuovo quadro regolatorio delle istituzioni creditizie contribuisce al credit crunch. Siamo ormai nell’era che Lawrence Summers ha definito della “stagnazione secolare”.

In Italia vi sono poi delle peculiarità, tutte negative. Ad esempio, e di questo occorre prendere nota e atto, “il maggiore ottimismo (o il minor pessimismo) di famiglie ed imprese non si traduce più automaticamente in comportamenti di spesa”. Ecco quindi la clamorosa divergenza tra fiducia delle famiglie ed andamento dei consumi: la prima occasionalmente in forte rialzo, i secondi agonizzanti. Stesso fenomeno riguarda la fiducia delle imprese che non si traduce in maggior investimenti. E poi, il leggendario superindice Ocse, che è ormai da buttare e presto non servirà più nemmeno ai politici per lanciare l’Ansa.

Per non rischiare di essere accusato di disfattismo, il Centro Studi Confindustria tenta di vedere anche qualche germoglio di positività, tra i quali si possono citare anche le misure della Bce, la ripresa degli indici dei direttori acquisti a livello globale, la crescita statunitense. Il problema è che si tratta di elementi che stanno già esercitando spinta ed al momento appare difficile ipotizzarne l’ulteriore accelerazione, come mostra ad esempio il fatto che gli indici dei direttori acquisti europei del mese di giugno, pubblicati ieri, mostrano una frenata dell’espansione, ora ai minimi da inizio anno e per paesi come la Francia segnalano una contrazione che sta diventando inquietante.

Poi ci sono i “venti contrari”, quali l’alta e crescente incidenza di disoccupati di lunga durata, tra i quali figurano sempre più soggetti in là con gli anni, maschi e del Nord Italia. Il grafico sulla crescita del tasso di risparmio dovreste conoscerlo, ve ne abbiamo parlato qui. Quando l’incertezza aumenta, cresce il risparmio precauzionale, e viene pure tosato in misura crescente dal fisco, il peggiore dei mondi possibili. La dimensione “politica” del rapporto CSC si coglie nella segnalazione che gli squilibri di partite correnti dell’Eurozona non sono ancora stati risolti. Questo è un punto controverso, visto che il surplus tedesco rispetto al resto dell’Eurozona si è sensibilmente ridotto negli ultimi anni e ci sono paesi, come la Francia, che continuano a perdere competitività in modo vistoso, oltre a non essere ancora passati dalla fase dell’aggiustamento tramite distruzione della domanda: il peggio pare dover ancora venire, quindi.

L’analisi completa si può leggere sul sito Phastidio.net

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