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Irak, Maliki non molla coperto dall’Iran

Ricordava giorni fa Guido Olimpio, inviato a Washington del CorSera, che sull’Irak torna valido il detto che si usava durante la guerra civile in Libano: “non ci sono verità, ma solo versioni”.

Tra improbabili e avventurose ricostruzioni, l’Isis è passato da marionetta nelle mani saudite, o (versione più classica) americane, ad essere un vettore iraniano o addirittura israeliano. Non ci si capacità, ancora, della tanta potenza dimostrata ed è più facile, in fondo, lanciarsi in congetture che studiarsi le cose.

Quel che è vero, è che lo Stato Islamico ha rallentato la propria offensiva, e (attenzione: anche queste sono “versioni”) le motivazioni possono essere legate al fatto che abbia via via incontrato una resistenza degna di essere definita tale, dopo i primi giorni in cui l’esercito fuggiva senza nemmeno combattere. In più è probabile che l’Isis abbia compreso che è meglio consolidarsi nelle aeree già conquistate, perché gestire troppo territorio diventa difficile – e forse quello già in controllo è al limite delle capacità del Dawlah. C’è pure una terza questione collegata: è probabile che in questa fase della guerra, l’Isis si stia riorganizzando in preparazione ad una nuova importante offensiva – inutile dire, che girano voci sull’imminenza dell’attacco a Baghdad.

Baghdad, appunto. Sono un paio di giorni che sui cieli della capitale girano i droni americani: Predator armati, ma che secondo funzionari “ben informati e anonimi” citati dalla CNN, sarebbero in missione di copertura. Circa 180 dei 300 consiglieri militari inviati da Obama, sono impegnati a mettere insieme un punto di comando strategico proprio a Baghdad, un altro invece sarà logisticamente collocato a Erbil, in Kurdistan – non certo per le bellezze che hanno fatto entrare la cittadina tra i patrimoni UNESCO quest’anno, ma per la fedeltà che i Peshmerga dimostrano agli occidentali.

Gli Stati Uniti sembrano quelli più “indietro” nella preparazione degli interventi. Sul campo c’è l’Iran, che ha sfruttato la propria ramificazione storica nel tessuto sociale iracheno, per creare la struttura strategica di comando. Anche se, a quanto pare, la presenza è meno massiccia di quella prevista dal Wall Street Journal i primi giorni che seguirono la presa di Mosul. Le Qods Force presenti sarebbero poche unità, e non due battaglioni come si diceva all’inizio; il vero corpaccione, di esercito e Guardiani, secondo il New York Times consistente in 10 divisioni, sarebbe ammassato al confine, pronto comunque all’azione in pochi minuti – la linea rossa è rappresentata da Samarra, se l’Isis sfonda la “porta per Baghdad”, oltre agli uomini sono pronti i jet dell’esercito, disposti già nelle basi più occidentali.

L’eminenza grigia Qassem Suleimani, capo dei Qods, è in contatto continuo: è stato beccato già due volte negli ultimi dieci giorni a Baghdad – la terza “visita” dicono sia imminente. Grazie a lui, sono state mobilitate le milizie sciite – così come in Siria, anche sulla necessità dettata dalla scarsa consistenza dell’esercito. Milizie ben armate, anche grazie ai due viaggi di materiale che l’Iran garantisce giornalmente: 70 tonnellate alla volta, una grossa quantità hanno commentato esperti militari, che di sicuro non sono solo “roba leggera”.

Gli iracheni ci stanno provando: l’NBC ha rivelato che secondo il suo corrispondente, ci sono 100 mila uomini pronti a difendere la capitale. Si teme la presenza di cellule dormienti, che lavorino da apripista al resto dei combattenti. Il Wall Street Journal scrive che gli Stati Uniti nel frattempo hanno deciso per una spedizione extra di missili Hellfiire: 800 quelli in arrivo imminente. Che, tuttavia, l’Irak dovrà comunque montare su i due Cessna modificati, anche se a Baghdad avrebbero preso contattati con Russia e Bielorussia per acquistare velivoli usati, in pronta consegna.

Aerei che dovrebbero sopperire alla lenta passaggio – non casuale – dei caccia americani. Gli USA non si fidano più troppo, e prima di mandare gli Apache e gli F16 (i cui tempi di invio, comunque erano previsti per fine anno), voglio e vederci più chiaro anche sulla faccenda rivelata da Newsweek. Secondo la rivista americana infatti, il governo iracheno attraverso i sevizi interni, avrebbe depistato le informazioni della CIA, compromettendone gran parte dell’attività d’intelligence, e fatto un continuo doppio gioco con l’Iran, informando l’alleato persiano di ogni movimento americano nel paese, da sempre.

Maliki è in imbarazzo, anche se l’atteggiamento verso l’America è molto cambiato: Washington lo vorrebbe defenestrare, ma non può farlo direttamente e cerca vie più morbide; il premier lo sa e attacca la Casa Bianca su temi pratici. “Sapevano della forza dell’Isis e non ci hanno messo un guardia”, uno di questi, o “abbiamo sbagliato a comprare da loro gli aerei da guerra” – dovevamo scegliere UK, Francia, o addirittura la Russia, cosicché a quest’ora eravamo pronti, ha fatto sapere Maliki.

Adesso Baghdad ha il cruccio della copertura aerea: nella trasposizione irachena del “Franza o Spagna, basta che se magna”, Maliki ha salutato con piacere il raid siriano di martedì sulle città di confine al-Qaim e Rutba. Non era né pianificato, né concordato, l’Irak non ne sapeva niente, ma ben vengano: messi come sono messi, a questo punto il premier è contento comunque, basta che qualcuno bombardi.

Assad l’ha capito, e ha utilizzato l’Irak per farsi pubblicità. L’attacco è stata una mossa politica, tanto quanto un’esigenza militare, per porre il regime siriano al servizio della giusta causa e per sottolineare – come da vecchio mantra – che le forze d’opposizione in Siria, sono in realtà dei “pericolosi terroristi”. Seconda il giornalista Elijah J Magnier, del giordano al-Rai, citato da Daniele Raineri del Foglio, «a Damasco è stata creata una sala operativa per coordinare le operazioni siriane in Irak»: soprattutto si parla di raid aerei.

Alla fine (ma questa è un’opinione) il rischio è che nella razionalizzazione pragmatica delle cose, si scelga il dittatore chiuso nei propri confini, piuttosto che i radicalismi in giro per il mondo.

Politica. La prossima settimana, martedì, si riunirà il parlamento iracheno per scegliere l’esecutivo. Maliki con il suo partito Da’wa ha 92 seggi, molti di piùì rispetto agli altri gruppi che si aggirano intorno ai 30, ma numero non sufficiente per raggiungere la maggioranza assoluta degli oltre 300 scranni. Gli Stati Uniti hanno proposto un esecutivo di unità nazionale, per traghettare il paese fuori dall’emergenza – mentre pensano già al dopo Maliki. Il premier ha definito «un colpo di stato» mettere i sunniti in un governo adesso, e, sicuro della garanzia di Teheran, ha risposto freddamente alle richieste americane – a cui tra l’altro sarebbe vincolato l’arrivo di nuovi aiuti.

Ma anche il potentissimo chierico sciita al-Sistani ha invocato per la costituzione del governo martedì.

@danemblog

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