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L’Italia di domani: tre scenari per un teatrino

Cosa c’è di più incerto del domani? Ma neanche del domani: pure del fra poco, a dirla tutta.

Eppure eserciti di chiromanti, auruspici e lettori di frattaglie, facitori di oroscopi, cartomanti, oracoli e altre simili genìe intrattengono da secoli l’umanità con le loro previsioni che in comune hanno d’esser sempre lautamente remunerate e rigorosamente sbagliate.

Ciò malgrado, non pago di pagar dazio a chi scruta il mondo di poi, l’uomo ha insistito e insiste tuttora, tanto è impaurito da ciò che sarà, a portar in palmo di mano questi cacciaballe.

Oggi poi stiamo pure peggio: sono arrivati gli scienziati, che di tale genìa di cieche vedette sono i più perniciosi, usando la matematica, che è disciplina rigorosa, a mo’ di travestimento delle loro pinzillacchere, che perciò, invece di mostrarsi per ciò che sono, s’ammantano di astrusa seriosità capace di restituir credito ai sogni.

Ma i sogni aiutano a vivere, diceva quel tale. Tanto più qui dove discorriamo del sogno più seducente: quello della ricchezza e del benessere, che si persegue pure a rischio di strozzarsi a furia d’ingozzare, utilizzando qualunque diavoleria sia stata inventata per dar corpo alla nostra legittima richiesta di felicità.

L’economia perciò, scambiata come fine anziché come strumento, basa se stessa su ciò che riesce a prevedere, e di conseguenza, alimenta i previsori con grande generosità. E poco importa che tali previsioni siano meri esercizi retorici per legittimare precise scelte politiche.

Tale esercitarsi, che parte dalla base della previsione – ossia il dato statistico – arriva quindi a disegnare mondi virtuali – scenari li chiamano – che sostanziano graziosi teatrini politici, al termine dei quali gli spettatori – ossia noi tutti – siamo chiamati a pagare il conto.

Probabilmente penserete che sto esagerando. E allora godiamoci insieme la lettura di due documenti che tanto fiato e inchiostro hanno fatto spendere ai nostri illustri commentatori, ossia il rapporto della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica e le raccomandazioni che sono arrivate da Bruxelles il 2 giugno scorso.

Il primo ci illustra proprio tre scenari che la Corte ha elaborato servendosi dell’armamentario macro-modellistico del Cer, il centro europeo di ricerche dove alligna il fior fiore dei nostri economisti e che da vari decenni si dedica a modelizzare econometricamente la nostra povera realtà.

La Corte, giustamente preoccupata per la nostra finanza pubblica, uno degli spauracchi globali meglio pubblicizzati, ha elaborato tre simulazioni econometriche “volte a misurare l’impatto di shock favorevoli di crescita sul percorso di rientro del saldo strutturale”. Il saldo strutturale, lo ricordo, equivale al saldo fiscale corretto per il ciclo e al netto delle componenti straordinarie. Una di quelle meravigliose invenzioni di cui la stessa Corte dubita sostanzialmente.

Gli shock positivi presi in considerazione sono tre: rimodulazione del bilancio pubblico secondo le indicazioni contenute nel programma #lasvoltabuona (è scritto così, giuro); adozione di misure di incentivazione degli investimenti in ricerca e sviluppo; riforma del mercato del lavoro e dei prodotti.

I tre scenari quindi prendono in esami diverse decisioni di politica economica, a cominciare da quelle annunciate di recente dal governo, allo scopo di valutare gli effetti che tali decisioni hanno sui conti pubblici, a cominciare proprio dall’andamento del saldo strutturale (ricordo che di recente il governo ha chiesto un slittamento del pareggio che era previsto nel 2015) e poi sulla crescita del prodotto.

I risultati mostrano che tutte e tre le simulazion conducono a una maggiore crescita, rispetto allo scenario di base, “anche se con tempi e intensità diverse”. Nella prima e nella terza ipotesi considerata, a fine periodo (t+5, ossia il 2019 se consideriamo il 2014 anno di partenza degli shock), il Pil risulta incrementato dell’1,5% l’anno, conducendosi dal valore indice 100 di inizio periodo a oltre 107. Nel secondo scenario considerato produrrebbe una crescita più lenta, pari allo 0,5% annuo, per un indice cumulato a t+5 di poco superiore a 106, a fronte a un 106 dello scenario base.

“E’ interessante notare – scrive la Corte – come una manovra di ricomposizione del bilancio pubblico (scenario 1, ndr) avrebbe effetti del tutto analoghi a quelli associabili a un programma di riforma dei mercati (scenario 3, ndr)”.

Allora uno pensa che gli effetti della #svoltabuona sono equiparabili, ai fini del computo del prodotto, a quelli di riforme che prevedono, fra al altre cose, un incremento della produttività totale dei fattori (TFP). Una differenza non da poco: la cura Renzi, chiamiamola così, rispetto alla cura “riforme strutturali”, a base quindi di aumenti di competitività, sta un po’ come il giorno alla notte.

Questa differenza si comprende bene se andiamo a vedere come evolve l’altra variabile monitorata nei tre scenari, ossia l’indebitamento nominale e il saldo strutturale. Mentre il primo rimane sostanzialmente stabile rispetto a quanto previsto dallo scenario base del governo nei vari Def, il saldo strutturale invece, che poi è la variabile che Bruxelles tiene sotto osservazione quando analizza i nostri conti pubblici, cambia sostanzialmente.

Per dirla con le parole della Corte “aumenta nel caso dei primi due esercizi, allontanandosi dal pareggio”. “Particolarmente rilevante è l’allontanamento dall’obiettivo del pareggio nel caso del primo shock”, ossia quello deciso dal governo.

“Il saldo strutturale – nota la Corte – migliora invece, sensibilmente, nel caso del terzo shock, passando in attivo già al tempo t+2″.

Se andiamo a vedere il grafico prodotto dalla simulazione, notiamo che lo shock 1 appesantisce notevolmente il saldo strutturale, che si colloca intorno a un deficit dello 0,5% del Pil fino al t+5, scostandosi quindi significativamente dallo scenario base ipotizzato dal Def, che prevede il pareggio già alla fine del t+2, ossia dal 2016.

Ve la faccio semplice: lo scenario che si basa sulle decisioni adottate di recente dal governo rischia di mettere a repentaglio il nostro obiettivo di medio termine concordato con Bruxelles.

Questo spiega bene il senso delle raccompandazioni che sono arrivate dall’Europa il 2 giugno scorso. I tecnici europei infatti notano che l’aggiustamento strutturale sarà possibile in parte grazie a un ambizioso piano di privatizzazione, da attuare nel periodo 2014-17 pari ad almeno lo 0,7% del Pil ogni anno, notando che “non convalidato da un organismo indipendente, lo scenario economico sul quale si fondano le proiezioni di bilancio del programma è leggermente ottimistico, in particolare per quanto riguarda gli ultimi anni del programma”.

E’ così che lo scenario, esercizio econometrico mirabolante, diventa un fatto eminentemente politico.

Tant’è vero che i tecnici di Bruxelles notano come “una deviazione dal percorso di aggiustamento (come ipotizza la corte secondo lo shock 1) che si ripetesse l’anno successivo potrebbe essere valutata come significativa”. Inoltre, notano ancora “il raggiungimento degli obiettivi di bilancio, inoltre, non è totalmente suffragato da misure sufficientemente dettagliate, soprattutto a partire dal 2015″.

Fatto politicissimo, quindi. che peraltro interviene all’indomani delle elezioni europee, che hanno consegnato al governo italiano un inedito potere di contratto quantomai opportuno, laddove “il Consiglio è del parere che siano necessari sforzi aggiuntivi, in particolare nel 2014, per garantire la conformità ai requisiti del patto di stabilità”.

Tutto ciò ha dato vita al solito teatrino politico che ormai accompagna i fatti economici. Petizioni di principio politiche (faremo, diremo), che minuettano con petizioni di principio economici (dovete fare questo e quello) in difetto di una qualche attendibilità che non si aleatoria.

Scenari e teatrino: l’Italia di oggi.

E di domani.

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