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Tutte le ultime convergenze parallele tra Russia e Cina

La fanfara di annunci e proclami congiunti che arriva da qualche tempo da Mosca e Pechino si configura sempre più non come vezzo geopolitico, ma come sostanziale ricerca di un nuovo ordine mondiale.

Un altro segnale di questa convergenza è arrivato con la notizia che le grandi imprese russe si stanno preparando a fare contratti in renminbi, la valuta cinese, o altre monete asiatiche, per il timore che le sanzioni americane congelino la loro azione sul mercato del dollaro.

AI FERRI CORTI CON L’EUROPA

Questa scelta sarebbe una diretta conseguenza non solo del trentennale accordo che porterà il gas russo verso la Repubblica Popolare, ma – spiega il britannico Financial Times – mette in luce il tentativo del Cremlino di guardare all’Asia, dal momento che le sue relazioni con Bruxelles diventano tese, anche se contraddistinte da una differenza di vedute tra i vari Stati dell’Unione.
Mosca e Pechino puntano, seppur ancora in forma embrionale, a ridurre la dipendenza da Stati Uniti ed Europa e a rendere meno importante il ruolo di Washington negli equilibri globali.
Le sanzioni stanno spingendo le aziende russe a ridurre la loro dipendenza dai mercati finanziari occidentali, mentre le banche statunitensi ed europee hanno rallentato drasticamente la loro attività di prestito a Mosca dall’annessione della Crimea a marzo conseguente alla crisi ucraina.
Anche per questo la banca centrale sta lavorando per creare un sistema di pagamento nazionale per ridurre la dipendenza del Paese da compagnie occidentali come Visa e MasterCard.

L’INTESA ENERGETICA

L’annuncio sul renminbi, seguito da vicino dalla stampa anglosassone per l’interessamento della City londinese che punta ad essere il mercato offshore di trading per la moneta cinese, è solo l’ultimo in ordine di tempo.
Qualche settimana fa, dopo dieci anni di tentativi, la Russia venderà il gas alla Cina. L’accordo storico da 400 miliardi di dollari per una fornitura trentennale di Mosca per Pechino, siglato a Shangai da Vladimir Putin e dal presidente Xi Jinping, prevede che Gazprom fornisca 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno alla China National Petroleum Corporation.

L’ALLEANZA SUL RATING

Inoltre, solo pochi giorni fa i due Paesi avevano concordato di istituire un’agenzia di rating gestita da entrambi, che andrebbe a sommarsi alle tre “sorelle” americane (Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch) e alla cinese Dagong con la quale, hanno rivelato alcune fonti occupate nel progetto, potrebbe forse esserci una stretta collaborazione. Mosca e Pechino puntano ad allargare il progetto al resto dei Paesi Brics (Brasile, India e Sudafrica), da tempo intenzionati a pesare maggiormente nelle istituzioni occidentali – Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale in primis – e, se non dovessero riuscirci, a sostituirle con nuovi organismi.
Un piano che il presidente russo vuole realizzare non tanto aprendo alla vendita di energia a Pechino, che per molti esperti – come il finanziere Alberto Forchielli -, è solo un incontro naturale tra offerta e domanda, quanto attraverso la creazione di una propria area politica ed economica di influenza, l’Unione eurasiatica, una mossa che gli consentirebbe di non passare dalla “padella” occidentale alla “brace” cinese.
La collaborazione finanziaria tra i due Paesi, invece, prosegue il socio fondatore di Mandarin Capital Partners, avrà probabilmente vita breve, perché non gode al momento della necessaria credibilità internazionale e rischia, pertanto, di essere un’arma spuntata buona solo per guadagnare le pagine dei giornali.

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