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I consigli anti rigoristi di Gustavo Piga per amerikanizzare il Pil

L’opinione pubblica italiana è favorevole a un rilancio di una politica di investimenti pubblici sani e mirati alla ripresa economica. È il risultato di una ricerca realizzata dall’Istituto Piepoli riguardo alle attese e all’atteggiamento dei cittadini nei confronti della politica e della crisi.

Un’iniziativa unificante

Lo studio è stato presentato nella sala Nassirya di Palazzo Madama su iniziativa dell’economista Gustavo Piga, presidente del Comitato Promotore delle 4 richieste referendarie contro l’applicazione dell’austerità finanziaria nei confini nazionali.

Consultazione che tenta di offrire una risposta di ampio respiro allo stallo in cui appare bloccata l’azione del governo di Matteo Renzi. E che potrebbe costituire un terreno condiviso per un patto trasversale alla luce del sole attorno alle priorità strategiche produttive e di bilancio.

L’Italia in recessione

Esigenza tanto più avvertita considerando le cifre desolanti e inequivocabili fornite oggi dall’ISTAT sull’andamento del PIL. Nel 2014 il Prodotto interno lordo è calato dello 0,3 per cento. Un quadro negativo che tocca industria, agricoltura, servizi, e pone il nostro paese in uno stato di “recessione tecnica”.

Fare come negli USA

Al contrario di quanto affermato dall’economista vicino al premier Tommaso Nannicini, Gustavo Piga ritiene urgente rompere una stagnazione che rischia di travolgere l’intera architettura europea.

E la strada passa per la riproposizione in forme rinnovate di una politica capace di utilizzare con lungimiranza le risorse collettive: “Esattamente come ha saputo fare il presidente degli Stati Uniti Barack Obama fin dall’inizio della crisi finanziaria. Con risultati tangibili”.

Per salvare e rilanciare se stessa, spiega lo studioso, l’Euro-zona dovrebbe ripercorrere scelte del genere superando il rigore di bilancio fine a se stesso e tenendo bassi i tassi di interesse sul credito alle imprese.

Parole profetiche

L’animatore dell’iniziativa referendaria riassume il significato e l’obiettivo delle sue parole citando il vivace scambio di punti di vista intercorso un paio di anni fa tra il Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz e l’ex premier Mario Monti.

All’ex professore dell’Università Bocconi che puntava il dito contro i numerosi sprechi pubblici da rimuovere nel nostro paese, lo studioso nordamericano replicò ricordando uno spreco ben più grave: “Quello di una generazione che rischia di veder sfumare le proprie opportunità di lavoro e di essere perduta”.

Una generazione, rimarcava il docente della Columbia University, che merita l’impiego mirato e produttivo di risorse pubbliche: “Fondi reperibili, visto che i miliardi di tasse prelevati negli ultimi anni dalle tasche dei contribuenti italiani sono stati destinati al rimborso dei crediti dei titolari di titoli di Stato. E non allo sviluppo dell’economia reale”.

Cifre significative

Una prova eloquente dell’attitudine positiva dell’opinione pubblica nei confronti di un ruolo più attivo dello Stato contro i fenomeni recessivi viene fornita da Nicola Piepoli: “Il 73 per cento dei cittadini ritiene necessario investire risorse comuni per le scuole e gli ospedali. E il 38 per cento degli italiani – ben 24 milioni di persone – offrirebbe in prestito per 2 anni un capitale complessivo di 100 miliardi. Esattamente ciò di cui abbiamo bisogno per far ripartire la crescita”.

Il precedente tedesco

È una filosofia – precisa lo studioso rispondendo al corrispondente della Frankfurter Algemeine Zeitung Tobias Piller scettico sulla reazione dei mercati a una vittoria dei referendum anti-austerità – che ha guidato la strategia da 4 miliardi di euro portata avanti dal governo tedesco per promuovere l’emancipazione e il riequilibrio economico dei Lander orientali all’indomani della riunificazione. Consentendo alla Germania di divenire la nazione leader del Vecchio Continente.

La strada per il governo Renzi

Una visione analoga, rileva il responsabile dell’istituto di ricerca, che dovrebbe guidare le scelte delle istituzioni europee e dello stesso governo Renzi: “Esecutivo che per il 40 per cento dei cittadini arriverà al termine della legislatura”.

A suo giudizio, la crisi economica violenta e persistente che ha colpito l’UE avrebbe dovuto spingere gli Stati ad adottato le misure già sperimentate a partire dagli anni Trenta. Soprattutto in un’Italia nella quale il mercato non funziona nella forma virtuosa propugnata dal pensiero liberista.

L’ambizione dei referendum anti-austerità

A questo scopo, rileva il giurista Giulio Salerno, sono state concepite le richieste referendarie. Nessuna delle quali mette a rischio l’adesione dell’Italia al Fiscal Compact e il rispetto dei nostri impegni internazionali.

L’obiettivo è “rimuovere una lettura fanatica e rigida dell’austerità che ostacola ogni strategia di crescita. E chiamare la Consulta a pronunciarsi sulla compatibilità di tale interpretazione con la Costituzione repubblicana”.

Esattamente come accade in Germania, con il coinvolgimento continuo del Tribunale federale costituzionale riguardo le scelte finanziarie adottate in sede europea.

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