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Argentina, il debito e gli insegnamenti di Papa Francesco

Mentre l’attenzione di gran parte del mondo economico e finanziario si concentra su questo inedito, e pericoloso caso, nel quale un giudice statunitense (o meglio, la giustizia degli Stati Uniti), su richiesta dei fondi-avvoltoi, impedisce ai creditori ricevere i soldi che l’Argentina ha depositato presso la banca fiduciaria di New York, un recente articolo del professor Leonardo Becchetti parla dell’insegnamento che questa storia dovrebbe lasciare alla comunità internazionale, proponendo alcune alternative da considerare per superare questo momento.

L’introduzione di clausole che disincentivino comportamenti speculativi nelle ristrutturazione dei debiti (ad esempio stabilire quote di accettazione che impediscano alle minoranze di bloccare la ristrutturazione) é una idea interessante, ma si deve considerare che la capacità di un Paese di “far legge” con queste clausole é molto condizionata dalla situazione politica ed economica, sia interna che nel confronto dei creditori internazionali e degli organismi che regolano i mercati.
Tutti sappiamo che un Paese che si avvicina al default (cioè al fallimento) si trova in una situazione di debolezza (crisi sociale ed istituzionale, recessione, fuga di capitali, ecc.) in cui i margini di negoziazione sono molto piccoli e le vie di uscita immediata poche, se non nulle. In queste situazioni, purtroppo, si trovano anche quelli che all’interno del Paese, rappresentano molto bene l’interesse di coloro che speculano da fuori. La storia recente ci offre alcuni spunti per spiegare questa situazione con un esempio.

Dopo l’aumento dei tassi d’interesse fatto dalla FED che condusse alla crisi dell’indebitamento estero scoppiata nel 1982, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) cominciò a monitorare i Paesi debitori condizionando la concessione di aiuti finanziari all’applicazione di politiche economiche restrittive, seguendo ovviamente l’interesse dei creditori internazionali, senza intuire che “i morti non pagano, perché soltanto quelli che vivono possono pagare”. Molti Paesi, anche seguendo le indicazioni del FMI, arrivarono agli anni ’90 in piena crisi sociale, politica ed economica, trovandosi con un ambiente interno poco propizio per negoziare la proposta e le condizioni poste da Nicholas Brady (segretario del Tesoro statunitense dell’epoca) e per obiettare qualche punto del Consenso di Washington in caso avessero avuto bisogno di ulteriori finanziamenti.

Nel caso dell’Argentina, il risultato di essere un “bravo studente” (così si diceva dell’Argentina nel 1998 quando il presidente Menem apriva la riunione annuale del FMI) fu un’altra crisi, nascosta dagli organismi internazionali e i fondi di tutto il mondo, che volle dire la necessità di ristrutturazione del debito a condizioni assurde, che fecero incrementare il debito estero argentino di ben 53.700 milioni di dollari fino a raggiungere la cifra monstre di oltre 150.000 milioni di dollari, pagare alle banche 150 milioni di dollari in una settimana, e a David Mulford la bella cifra di 20 milioni di dollari di commissioni. Il risultato di questa azione “usuraia” sotto il monitoraggio del FMI, naturalmente fu il default.

Una proposta di clausole di disincentivo potrebbe avere successo all’interno di un sistema finanziario internazionale nel quale i Paesi che hanno bisogno di finanziamento, lo possano trovare senza dover perdere la propria sovranità politica ed economica, anche se la situazione locale è di debolezza. Certamente stiamo parlando di un sistema totalmente diverso a quello che si immaginò a Bretton Woods, per questo possiamo dire che la sfida è molto grande e difficoltosa, così come lo sono i problemi e le ingiustizie che sembrano “normali” in un mondo che a volte sembra sordo all’urlo della necessità un cambio radicale.

Come facciamo a rinunciare all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria? Quando un Paese punta i piedi per sostenere quello che è giusto, e la comunità internazionale supporta questo atteggiamento, forse la strada è quella giusta per mettere in pratica le parole di Papa Francesco.

Esteban Guida,
Fundación Pueblos del Sur – Partner Network internazione OpenEconomics

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