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Gli yazidi alle armi

“Hanno violentato le vostre sorelle e ucciso le vostre madri, ora è il momento di prendere le armi”; sono queste le parole che risuonano dagli altoparlanti del campo profughi di Nawrouz, in Siria – la prima pausa per gli yazidi, dopo giorni di fuga nelle aspre alture del Sinjar.

Il “I Want You” lo fanno suonare i curdi, che hanno avviato una campagna di arruolamento per rinfoltire le fila dei combattenti contro lo Stato Islamico. Non bastano le forze di sicureza locali e quelle arrivati da fuori – come il Pkk (tosti e dinamici, molto più dei primi) o il Pjak (gli iraniani, che per il momento sembra si muovano con più circospezione). E poi servono altri uomini da mettere dietro alle armi inviate dal mondo.

Gli yazidi non hanno un esercito, sicuri di vivere protetti e ovattati nella loro enclave nel nord dell’Iraq. All’assedio degli uomini del Califfato, hanno sperato rispondessero i peshmerga, ma le milizie curde si erano fatte prendere di sorpresa su più fronti, e per bloccare all’offensiva dell’IS si erano viste costrette a ripiegare a protezione di Erbil. Da lì, gli yazidi erano rimasti soli, untermenschen davanti agli occhi infuriati degli uomini del Califfo. Poi la fuga.

Arrivati in Siria, a coordinare i campi di addestramento ci sono uomini della People’s Protection Units (YPG) insieme ai più esperti del Pkk. Un comandante curdo presso la mini West Point organizzata nei pressi della città curdo-siriana di Derik, ha raccontato al Telegraph che il corso è intensivo – d’altronde non c’è troppo tempo a disposizione. Dura quattro giorni, e ha già centinaia di reclute: tutte per lo più mosse da sentimenti di vendetta, ma spinte anche dalle parole della guida spirituale, lo sceicco Khalaf al-Bahary.

Secondo i locali, la presenza dei comandanti del Pkk, arrivati in massa attraverso il confine turco, è fondamentale per fornire la migliore preparazione alle nuove milizie – i curdi di Turchia, a differenza degli altri, dagli anni ’80 in poi non hanno mai smesso la lotta con Ankara. D’altronde, i marxisti un tempo guidati da Apo Ocalan hanno avuto il ruolo chiave già nell’aprire la strada alla fuga degli yazidi verso la Siria. Ed è dietro la fascinazione e la gratitudine nei loro confronti che si segna il maggior numero di arruolati.

Dopo il breve (ma intenso) corso di addestramento, gli yazidi entrano a far parte del Movimento di resistenza del Sinjar, esercito di autodifesa – i cui quadri per il momento saranno rappresentati da comandanti curdi – che tornerà verso Sinjar a proteggere i luoghi di culto del popolo yazida.

Ma i curdi la sanno lunga: il ritorno di combattenti motivati sulle alture del Sinjar, è una mossa strategica e tattica fondamentale. Quelle montagne occorre proteggerle per mantenerne il controllo. Dovessero finire nella mani del Califfo, sarebbero il punto di osservazione e coordinamento per azioni verso le sottostanti valli curdo-siriane, ricche di petrolio.

 

 

@danemblog

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