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Ecco i tre effetti politici della riduzione dei distacchi sindacali

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il governo Renzi ha deciso di ridurre sensibilmente il numero dei distacchi sindacali (la metà di 3000). E’ un risultato positivo più volte auspicato e perseguito dai governi che, di fatto, non hanno avuto né la forza e né la volontà di raggiungere l’obiettivo. A questo punto si impone una riflessione: per quale motivo questo è stato fatto adesso e non prima? I sindacati hanno sempre rappresentato una realtà forte, al riparo di giudizi e controlli. Nessuno ha mai osato porre in essere atti che potessero in qualche modo creare disturbo alle organizzazioni dei lavoratori.

Certo, in una democrazia, il ruolo del sindacato è fondamentale per la difesa dei lavoratori; ma, proprio per questa ragione, la vita interna dei sindacati dovrebbe informarsi a regole che non prescindano i principi della democrazia. Dovrebbero, inoltre, essere previste forme di controllo per la gestione dei proventi assicurati dai lavoratori e dalla presenza dei rappresentanti sindacali nei consigli di amministrazioni di enti più o meno significativi.

L’attenzione si è rivolta in questi anni ai partiti e ai costi della politica. Ma queste attenzioni hanno prodotto non il rinnovamento dei partiti, ma la loro rimozione, mentre sulla voce “costi” della politica si è seguito un percorso di riduzione della rappresentanza democratica, così come è avvenuto per le provincie, la cui “eliminazione” non fa risparmiare nulla! Sarebbe stato auspicabile, invece, riesaminare l’impianto normativo che regola le regioni, fonti di spese senza controlli e senza ritorni utili per i cittadini. Ma è tutto chiaro! É in atto una ristrutturazione del Paese con la quale ai cittadini sono sottratti gli strumenti per poter partecipare alle decisioni. I sindacati hanno svolto, in passato, un ruolo decisivo nella difesa dei diritti e per lo sviluppo economico.

La loro ultima storia è, invece, fatta di inerzie, di apparati senza fantasie, di rappresentanti interessati a non creare intralci anche a gestioni disinvolte di enti. Sarà per quieto vivere o per altro, ma è certa una abdicazione clamorosa a recitare ruoli determinanti per i lavoratori e l’economia del Paese. Dopo “tangentopoli” si era salvato, come Partito, il PCI (e poi i suoi derivati) e la famosa triplice con i suoi vertici a recitare tutti i ruoli, anche quello di nuovi teologi. Oggi il PD è una forza personale, forse ancora più di Forza Italia e il sindacato è debolissimo: paga il prezzo di aver reciso i legami con la società attraverso un “imborghesimento” che ne ha cambiato i connotati e la propria ragion d’essere! E su questa debolezza l’obiettivo del governo, la riduzione di cui parlavamo, è centrato! Forse l’unico baluardo in difesa della democrazia viene abbattuto.

É senz’altro giusto far ritornare al lavoro molti sindacalisti; non sarebbe bello, però, se questo fosse il prologo di un sistema che sta mostrando fastidio verso principi di garanzia democratica.
Sta al sindacato imboccare la via del suo cambiamento. Sarebbe un delitto rinunciare a tutto questo e, di fatto, aderire al disegno di questo governo in cambio del mantenimento di qualche privilegio sotto altre forme. Un’ultima riflessione: si dice sempre che bisogna ridurre i costi della politica; di fatto, però, si svuotano le istituzioni di democrazia rappresentativa. A me sembra che la riduzione dei costi della politica sia un puro richiamo per le allodole e che, in realtà, si persegua un disegno che mette in crisi la democrazia attraverso un sistema che ricorda le vecchie monarchie non tanto costituzionali.

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