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Perché Israele teme l’entrata dell’Iran nella coalizione anti-Isis

Lo Stato Islamico e l’Iran sono facce della stessa medaglia per Benjamin Netanyahu (a sinistra nella foto), che dal podio dell’assemblea generale delle Nazioni Unite ha lanciato un monito a non distogliere l’attenzione dal pericolo islamista. Una minaccia che per il primo ministro di Israele da un lato ha assunto le sembianze del califfato di al-Baghadi, ma dall’altro conserva quelle di Tehran, considerato il “regime più pericoloso al mondo, nella regione più pericolosa al mondo“.

LE PAROLE DI NETANYAHU

Tel Aviv, attore protagonista ma finora poco esposto nella lotta al gruppo terrorista, torna a parlare nel timore che le trattative con gli Usa per l’entrata dell’Iran nella coalizione anti-Isis, che viaggiano ormai di pari passo a quelle con il gruppo 5+1, possano passare per un cedimento sul programma nucleare di Tehran, apparentemente a soli scopi civili.
Una Repubblica islamica in possesso dell’arma nucleare rappresenterebbe “la più grave minaccia per tutti noi“, ha rimarcato Netanyahu di fronte alla platea dell’Onu, aggiungendo che sconfiggere lo Stato Islamico e lasciare all’Iran la capacità di ottenere la bomba atomica “sarebbe come vincere una battaglia e perdere la guerra.
Le capacità nucleari dell’Iran – ha affermato il primo ministro israeliano “devono essere completamente smantellate“. L’Iran del presidente Hassan Rouhani (a destra nella foto) – sostiene – “sta tentando di circuirci per raggiungere un accordo che gli permetta di accedere alla soglia nucleare“, vale a dire possedere i componenti dell’arma atomica e la possibilità di assemblare una bomba in poco tempo.

LE DIVERGENZE CON WASHINGTON

Da questo punto di vista, la posizione israeliana è piuttosto lontana per il momento da quella della Casa Bianca. Nel discorso alla nazione che ha lanciato la coalizione contro il gruppo terrorista, Barack Obama ha spiegato come a suo modo di vedere non ci si trovasse di fronte a una guerra di religione, ma come anzi esistesse un Islam moderato da coinvolgere nel conflitto contro le frange estremiste.
Netanyahu, spiega Reuters, invece ha descritto l’Iran, lo Stato Islamico e Hamas – che controlla la Striscia di Gaza e con cui ha recentemente ingaggiato nuovi scontri – come parte di una stessa squadra islamica, paragonandoli ai nazisti tedeschi che durante la Seconda guerra mondiale arrivarono a sterminare sei milioni di ebrei.
“Come negli Anni 30 c’era una razza padrona che voleva dominare il mondo, ora c’è una fede che vuole essere padrona“.

IL NODO NUCLEARE

Cosa c’è di vero? Come già raccontato da Formiche.net, a detta di alti funzionari della Repubblica islamica l’Iran è pronto a unirsi alla coalizione, ma vorrebbe in cambio maglie più larghe sul programma di arricchimento dell’uranio sul quale è da tempo in corso un complesso negoziato. Una condizione che Tel Aviv non pare voler accettare in virtù del pericolo islamista.

LA POSIZIONE DELL’IRAN

Eppure, nonostante l’allarme lanciato da Netanyahu, l’Iran ha già assunto una posizione netta contro l’Isis. I pasdaran sono già presenti contro lo Stato Islamico in Irak e Siria, ma non in coordinamento con gli Stati Uniti.
A sostenere l’azione americana ci sono per ora cinque Paesi sunniti, Giordania, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Qatar, addirittura alcuni dei quali – soprattutto Riyadh e Doha – accusati di aver foraggiato gruppi come l’IS.

IL RUOLO DELLA REPUBBLICA ISLAMICA

In questo scacchiere di alleanze e delicati equilibri regionali, la partecipazione dell’Iran potrebbe essere decisiva, osservano molti analisti. In primo luogo perché contribuirebbe a lanciare un segnale di straordinaria unità dell’Islam nel contrasto al terrorismo e in particolare all’Islamic State. Ma soprattutto perché gli esperti credono che fenomeni come questo siano da attribuire indirettamente anche alla lotta interna tra le correnti dell’Islam. Un accordo tra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita, principale Paese a maggioranza sunnita, già in coalizione, decreterebbe la fine di secolari contrasti, delle tensioni e di un’interpretazione distorta del Corano che sarebbe alla base dell’estremismo islamico. Per quanto riguarda una distensione dei rapporti con Israele, invece, i tempi non appaiono ancora maturi, almeno finché Tehran non avrà reciso definitivamente il cordone ombelicale con cui nutre Hamas, considerata da Tel Aviv una minaccia da eradicare.

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