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La Siria è il territorio cruciale per combattere il Califfato

La Siria è il territorio cruciale della lotta allo Stato Islamico che la coalizione di oltre quaranta paesi sta conducendo, sotto la guida degli Stati Uniti. È evidente (lo dimostra anche questo grafico della BBC), e ciò emerge chiaramente dalle prime analisi sui raid aerei che hanno interessato la porzione siriana del Califfato nella notte tra lunedì e martedì.

Secondo fonti della Difesa americana, citate dal New York Times, sarebbero stati utilizzati più ordigni (missili e bombe) nei raid di lunedì, di quanti non ne sono stati lanciati sommando tutti gli attacchi precedenti – che sono iniziati l’8 agosto e hanno raggiunto un numero complessivo di 194.

I blitz aerei di lunedì, si sono divisi in tre ondate: prima sono partiti i Tomahawk, i missili da crociera lanciati dalla USS Arleigh Burke che incrocia nelle acque del Golfo, diretti alle postazioni nevralgiche di Raqqa – capitale siriana del Califfato – dove la sede amministrativa dell’IS, il palazzo del Califfo (per dire), è stato colpito bene quattro volte.

Poi nella seconda ondata si sono alzati i caccia, e anche qui c’è da dire. Innanzitutto, c’è stata un’ampia gamma di velivoli messi in azione, anche se numericamente il contingente è stato abbastanza asciutto (48 aerei): F-15, F-16, F/A18, bombardieri B1, e per la prima volta in un teatro operativo sono stati messi in azione gli F-22. Si tratta dei velivoli di punta della US Air Force, caccia bombardieri stealth di ultima generazione, in grado di colpire a fondo senza essere visti dalle contraeree nemiche – in aree dove il distinguo tra quelle governative e i missili terra-aria finiti (forse) in mano all’IS è relativo, stando alle premesse (ma ci si tornerà).

Oltre alla potenza di fuoco messa in campo dall’America, c’è stata quella dei paesi arabi, che non hanno fatto da semplice appoggio logistico, ma si sono impegnati a livello operativo colpendo i bersagli nell’area a nord della Siria. L’aviazione saudita ha inviato alle testate le foto dei piloti dopo l’operazione, in una di queste è riconoscibile anche un membro della Casa reale – circostanza che è costata la condanna dell’IS ai membri di Sahoul (che è un termine dispregiativo per definire i regnanti di Riad). L’unico dei cinque paesi arabi impegnati, che è restato più coperto sul proprio ruolo, è il Qatar: ancora non ha ufficialmente confermato, ma sembra che non abbia sganciato ordigni, svolgendo soltanto compiti di copertura e supporto strategico, con alcuni Mirage.

Nella terza delle “ondate” dei raid di lunedì sono stato raggiunti obiettivi nell’est del paese – gli attacchi sono durati ore, e hanno visti impegnati anche gli Stratotanker, le cisterne aeree per i rifornimenti. A questo “giro” di bombardamenti non avrebbero partecipato le nazioni del Golfo, ma sarebbero state un missione esclusiva degli USA – sebbene alcune fonti saudite, hanno fatto sapere che i propri jet erano anche in quelle zone. Il motivo dell’attacco sulle città di Aleppo e Idlib è il fronte al-Nusra. L’affiliazione qaedista in Siria, è stata colpita perché una sua unità, nota con il nome di gruppo Khorasan, stava per organizzare attacchi contro l’Occidente. C’è molta discussione sul Khorasan: il Pentagono ha diffuso informazioni – riprese da Associated Press prima e dal New York Times, con più successo, poi – sulla sua pericolosità. Si pensa possa essere una minaccia imminente, anche peggiore dell’Is, dato che stavano architettando un attacco su suolo americano – o contro gli occidentali nella regione, non è ben chiaro. Il fatto è che alcuni sostengono che invece Khorasan è soltanto un’unità di al-Nusra, ben preparata da un fido elemento di al-Qaeda che risponde al nome di Mehun al-Fadli, ma niente di più e che per altro non avrebbe possibilità operative contro obiettivi non locali (gli occidentale, appunto) per volere diretto della guida al-Zawahiri: gli stessi, sostengono anche che è stata una costruzione, una montatura, americana, per giustificare 1) i raid in Siria in genere, 2) la decisione di colpire anche al-Nusra. Decisione che vista nell’ottica del piano di Obama, che prevede di formare come “truppe terrestri” un gruppo consistente di ribelli moderati, fidati e certificati, è d’altronde condivisibile: gli Stati Uniti non vogliono a terra contaminazioni islamiste radicali per i “propri uomini” e tanto meno vogliono altre rogne – e al-Qaeda, si sa, è una di queste.

Un altro argomento che spiega l’importanza che la coalizione dà alle postazioni siriane dell’IS, sta nella scelta di attaccare senza il consenso di Damasco, andando incontro a problemi diplomatici e reazioni di interesse. La Siria ha subito detto, attraverso la Tv di Stato, di essere al corrente dei raid e di essere stata avvisata anticipatamente. Gli Stati Uniti negano – orgogliosamente, per altro, sostenendo che con Assad (che a tutti gli effetti è considerato un criminale di guerra per la strage chimica di un anno fa), non ci si può coordinare. La Russia si è inserita, con Putin che ha definito «inaccettabile» l’azione di USA&Co – ovvio pensare che Mosca sottolinei la violazione di sovranità, così magari da poterla tenere come asso nella manica in circostanze analoghe in Ucraina orientale. L’Iran prima ha condannato con il presidente Rohani, poi ha passato una dritta alla CNN, annunciando di essere in realtà al corrente dei bombardamenti da qualche giorno prima. A chi credere, è un terno a lotto – dunque si lascia la scelta personale a chi legge. Qui, semmai, è utile ricordare che Iran, Russia, Siria e Usa, sono dallo stesso lato della barricata nella lotta allo Stato Islamico, anche se non sono ufficialmente in coalizione.

A proposito di barricate, è interessante invece vedere la reazione di chi poi, effettivamente, si deve posizionare sul campo: quei ribelli “amici” di cui si parlava, che a tutti gli effetti hanno reagito in modo abbastanza diverso. La formazione Harakat Hazm, US-backed, ha diffuso un comunicato in cui ha definito gli attacchi in Siria una «violazione di sovranità» e un beneficio per Assad. La fazione Jaish al-Mujahideen del Free Syrian Army (anche questo sostenuto dagli americani) in un video su Youtube ha commentato che i raid sono una «cospirazione contro la rivoluzione siriana». Il gruppo Liwa al-Haq, membro del Fronte Islamico e molto attivo a Homs, ha detto che si tratta di «una guerra totale contro i musulmani» e l’unità Forqat 13 – altro gruppo “amico” – ha definito i raid come un atto «volto a indebolire la rivoluzione». Soltanto otto gruppi dell’FSA hanno in qualche modo accettato gli attacchi guidati dagli americani, chiedendo che nelle zone di confine tra Siria e Iraq, dove loro combattano, si intensificassero le azioni – richiesta informalmente accontentata, visto che oggi ci sono stati altri 13 raid, proprio in quelle zone. La reazione dei gruppi ribelli, trova ampia sponda nella retorica propagandistica del Califfato, che sta già da qualche tempo utilizzando la carta della “coalizione che di fatto aiuta Assad”,

La reazione è rischiosa, come si vede. Le fazioni “amiche” non hanno preso bene la pioggia di colpi dal cielo, e altrettanto la qaedista al-Nusra – che da quanto rilevato in un intervista ad un comandante uscita su Buzzfeed, si sentiva quasi alleata della coalizione internazionale, data la sua opposizione all’IS. Ora al-Nusra sta scappando, lasciando le postazioni di Idlib con il timore di nuovi raid. Lo stesso sta avvenendo a Raqqa, dove, secondo fonti locali citate dalla BBC, sarebbe in corso un riposizionamento degli uomini del Califfo, sia nelle aree rurali attorno alla città, che nel profondo dei quartieri, cercando nascondigli tra la popolazione. Circostanza che complica le operazioni per USA&Co, ma che era indubbiamente attesa.

La campagna sarà lunga, per stessa ammissione del portavoce del Pentagono, il retrammiraglio Kirby e del generale William Mayville (che ieri ha curato il de-briefing con la stampa), che ha parlato di «anni», e durante il suo corso gli schieramenti probabilmente muteranno, con il warfare che si adatterà.

Le conseguenze rischiano di diventare globali: oggi è stato diffuso il video della decapitazione dell’ostaggio francese catturato in Algeria dal gruppo filo-IS Jund al-Khalifa: l’uccisione era già stata annunciata come ritorsione per la partecipazione della Francia agli attacchi sul territorio iracheno. La Francia aveva fatto sapere di non essere intenzionata a trattare con i terroristi, né tanto meno a rinunciare al suo ruolo nella coalizione.

@danemblog

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