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Come scegliere bene i dirigenti ministeriali

Settembre: riparte l’Italia, nelle intenzioni del Presidente del Consiglio. Ma non solo. Girano a pieno regime gli ingranaggi nei principali ministeri ed enti: sono in moto (in partenza, in corso o chiuse) le riorganizzazioni delle strutture amministrative che rinnovano l’articolazione interna di direzioni e uffici e che portano con sé una corposa tornata di nomine di dirigenti.

UNA POSSIBILE RIVOLUZIONE

Comportando, infatti, il rimaneggiamento dell’ossatura di un dicastero o di un ente l’automatico decadere di tutti gli incarichi dirigenziali (prima e seconda fascia), siamo in presenza di una possibile piccola grande rivoluzione. Dove? Istruzione, Infrastrutture e Trasporti, Lavoro e Politiche Sociali, Sviluppo Economico, Beni Culturali, Economia e Finanze ed Inps, dove le procedure di riorganizzazione investono contemporaneamente centinaia di posizioni dirigenziali. Il punto da cui partire, naturalmente, è che la medesima attenzione ai criteri di trasparenza e merito che vanno usati per reclutare i dirigenti da inserire nelle pubbliche amministrazioni (ne parlavo recentemente qui) vanno utilizzati quando di tratta di aprire i valzer delle nomine interne. Non è un caso che alcune delle proposte contenute nel disegno di legge delega di riforma della PA della Ministra Madia mirino – vedremo tra qualche mese, nel concreto, come e con quali effetti – a individuare criteri oggettivi e trasparenti per assegnare le posizioni dirigenziali.

REGOLE CERTE PER ASSICURARE UNA GIUSTA COMPETIZIONE

Uno spunto di riflessione me lo ha fornito una lettera, apparsa su Repubblica nel pieno della calura estiva, a firma di un funzionario del Ministero dei Beni Culturali (oggi Mibact) nella quale si osservava come, nel quadro delle nomine che intende operare il Ministro Franceschini, girassero già con insistenza dei nomi dei futuri dirigenti di vertice prima ancora che fosse scaduto il termine di presentazione delle domande da parte dei dirigenti di ruolo interessati. Sa di vecchio, vero? Aldilà della vicenda specifica, l’aspetto fondamentale è che quando si libera una posizione dirigenziale deve essere sempre assicurata una procedura competitiva aperta e trasparente per far sì che la persona giusta vada al posto giusto, mettendo definitivamente da parte l’abitudine dura a morire di assegnare posti per affiliazione, cordate, simpatie politiche o scambio di favori. La questione non è di poco conto: regole certe per assicurare una buona ed imparziale competizione per l’assegnazione delle posizioni sono la migliore garanzia per evitare non solo rendite di posizione e meccanismi opportunistici, ma il migliore funzionamento della macchina. Una scelta corretta è di cruciale importanza poiché la governance delle Direzioni Generali è correlata alla adozione di buone policy necessarie al rilancio delle attività. Ricordate la vicenda dell’ormai celebre “io la nomina da te l’ho avuta e a te rispondo” che ha visto protagonista l’allora Ministra dell’Agricoltura? Non era che un banale esempio di come nomine di favore o pilotate – anche formalmente legittime – abbiano effetti deleteri per il concreto funzionamento degli uffici e, cosa assai più grave, sull’imparziale trattamento dei cittadini da parte della macchina amministrativa. Sulla carta le procedure esistono: interpelli che mettono a bando le posizioni che si liberano e che prevedono (in forme diverse a seconda dei ministeri o degli enti) l’invio di curriculum su cui il nominante, Direttore Generale o Ministro, opera una scelta. Ma ecco che subito si aprono le crepe: se molto spesso le procedure sono fissate da circolari interne, che indicano i c.d. “criteri datoriali” in base ai quali va orientata la scelta, non raramente esse sono viziate da troppa opacità. E diciamolo: troppo spesso con l’attiva complicità di qualche dirigente che preferisce percorrere altre vie, ombrose e laterali, per contrattare il suo spostamento o la sua ascensione, piuttosto che scegliere di mettersi in gioco, apertamente e in modo trasparente, assieme ad altri colleghi, sulla base di regole certe.

NON TUTTI I DIRIGENTI SONO UGUALI

E, d’altronde, sarebbe sufficiente che per ogni posizione si individuassero le qualità più indicate. Inutile sostenere che tutti i dirigenti pubblici sono uguali: se qualcuno/a sarà oggettivamente più bravo di qualcun altro/a, tutti hanno in ogni caso preparazione e inclinazione diversa a seconda dei percorsi, delle attitudini e delle provenienze, risultando maggiormente versati in questa o quell’area. Questo non significa che qualcuno sia automaticamente più bravo di qualcun altro ma che il dirigente Mario Rossi in quella particolare posizione potrà con tutta probabilità render meglio di Carlo Bianchi, che avrà magari risultati migliori dirigendo quell’altro ufficio. Certamente tutti possono imparare ed è, anzi, opportuno che nel corso della proprio percorso professionale si facciano esperienze diverse, ma il carattere generalistico della dirigenza amministrativa va armonizzato col fatto che capacità e competenze contano e fanno fatte valere, naturalmente in un quadro generale in cui l’incarico sia sempre e comunque garantito a tutti i dirigenti di ruolo.

TRASPARENZA

Ma torniamo al tormentone procedure. Perché non pubblicare in internet (attenzione: internet, non intranet) tutti i curriculum vitae dei candidati che presentano domanda per quella posizione? È del tutto evidente che la scelta che opererà il Ministro, per quel che riguarda la nomina dei dirigenti apicali, o che effettueranno i Direttori Generali, per quanto concerne i dirigenti di seconda fascia, non potrà non essere permeata da un certo grado di discrezionalità: tuttavia, essa non dovrebbe prescindere dall’apprezzamento di un certo numero di criteri di base che dovranno contribuire, almeno, a formare una rosa di potenziali candidati. Banali considerazioni che sono, peraltro, al fondo della proposta Madia di costituire una sorta di Commissione che abbia il compito di scremare i candidati per la nomina (anche qui, ovviamente, occorrerà vedere in concreto le modalità specifiche). E, infine, il vero nocciolo della questione: come ha fatto correttamente notare Tito Boeri su lavoce.info, la vera architrave di tutto il carrozzone è la motivazione della scelta. Diventa, cioè, drammaticamente bizzarro che, mentre da una parte ci si sgola da anni per far sì che gli interna corporis delle amministrazioni pubbliche, a tutti i livelli, siano accessibili, trasparenti ed intellegibili a tutti gli stakeholder, comuni cittadini in testa, dall’altra non sia obbligatoria una espressa, articolata e chiara motivazione alla base della scelta di Tizio o di Caio per quella o quell’altra posizione dirigenziale.

IL SUCCO DEL DISCORSO

Qui, a ben vedere, si annida il succo di tutto il discorso, che è forma e sostanza allo stesso tempo. È forma perché a tutti, in qualsiasi momento deve essere consentito di verificare come e perché si vada a rivestire una posizione pubblica. Ed è sostanza perché è compito di tutti i partecipanti alla “corsa” di far sì che anche in concreto venga assicurata una reale parità di chance a tutti e che il processo si concluda con scelte che soddisfino l’interesse generale. A voler essere maliziosi, non è complicato, purtroppo, orchestrare prima il girotondo delle nomine: si possono stringere alleanze fra politica e burocrazia, presentare vecchi conti e ricordarsi degli amici, chiudere accordi e formare nuovi equilibri, riempiendo così tutte le caselline ben prima di avviare il rito degli interpelli, che viene svuotato di significato. Ecco, ove accadesse questo, non solo ci troveremmo di fronte ad una inutile perdita di tempo, ma ad una colossale presa in giro dei cittadini contribuenti e della stessa idea di democrazia. Paroloni, forse: ma se una possibilità di ripresa e crescita deve essere data alla nostra pubblica amministrazione, occorre che alla forma corrisponda la sostanza, sempre e comunque, scrollandoci di dosso quel fetore insopportabile che ammanta il vizio antico di lavorare dietro le quinte mentre formalmente ogni adempimento è rispettato. La PA è di tutti: nomine, promozioni e assegnazioni, nei ministeri come nelle nostre sedi a Bruxelles, negli enti come nei comuni, devono mirare a far crescere le risorse che valgono (i “vivai”) e che hanno ben operato, a dare occasioni di carriera a chi investe nel proprio lavoro, a offrire pari opportunità a tutte e a tutti. Tutto crolla come un castello di carte se alla fine dei giochi non è possibile sapere, chiaramente ed in modo esaustivo, perché quel dirigente andrà a ricoprire quella posizione. E gli altri che hanno partecipato alla selezione? E, soprattutto: i cittadini?

UNA BUONA OCCASIONE

Diciamocelo: in fondo, a nessuno piace essere valutato, non ci siamo abituati. E a nessuno garba che altri possano liberamente frugare nei propri cassetti: trasparenza e merito sono facili a parole, molto complicati nel metterli in atto. Il Governo di Matteo Renzi sta scommettendo buona parte della propria credibilità su una riforma delle infrastrutture immateriali di questo Paese: merito, competenza, sana competizione, fine dei riti che hanno contraddistinto in negativo la nostra vita pubblica da decenni. Ecco allora una buona occasione per misurare il peso delle intenzioni: in attesa della riforma di tutte le riforme della pubblica amministrazione, sarà il caso di valutare come i Ministri procederanno a gestire questa complessa scacchiera di nomine che hanno davanti. E, soprattutto, facendolo sapere agli Italiani.

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