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Tutte le contraddizioni di Silvio Berlusconi

Giampaolo Pansa, fra il divertito e il preoccupato, osservava giustamente domenica nel suo “Bestiario”, su Libero, che ormai lo storico in Italia è stato sostituito dal comico, più capace di raccontare e rappresentare la politica e i suoi attori, protagonisti o solo comparse. E citava come esempio la performance televisiva di Maurizio Crozza, che venerdì su La 7 aveva saputo imitare così bene Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Susanna Camusso, Maurizio Landini e Matteo Salvini da farli apparire al pubblico più autentici e comprensibili di quanto essi riescano ad essere in proprio, senza l’intermediazione comica, con i loro tic, i loro annunci, le loro proposte o minacce.

Ma oltre allo storico, o più semplicemente al cronista, sta perdendo il suo ruolo in Italia, o lo ha già perso del tutto, anche l’analista politico. O, nella sua versione più aulica, il politologo, come il vecchio editore Attilio Monti soleva chiamare, o promuovere, un commentatore politico quando ne apprezzava gli articoli.

Più che di analisi la politica italiana ha ormai bisogno di psicanalisi per essere capita, o per tentare di capirla. Più che sui giornali, o in televisione, con o senza l’intermediazione di intervistatori o commentatori, non importa se ben disposti o prevenuti, leader e leaderini dovrebbero stendersi sul lettino e raccontarsi allo psicanalista.

Una volta c’erano le ideologie a vestire i partiti e a farli riconoscere dal pubblico. Poi, con la cosiddetta Seconda Repubblica, sono arrivati o sono stati più semplicemente annunciati i programmi. Che il povero Ugo La Malfa già negli anni della cosiddetta Prima Repubblica aveva inutilmente chiesto di privilegiare rispetto a quelli che lui chiamava “schieramenti”. Ora sono passati di moda, o sono stati superati dalla globalizzazione dei mercati, e dai suoi effetti, anche i programmi. Che non possono variare più di tanto gli uni dagli altri quando ci sono da rispettare vincoli internazionali liberamente accettati. Vincoli che andrebbero rivisti, ma che sono difesi a spada tratta da chi ne ha tratto i maggiori vantaggi e non intende rinunciarvi. Ogni allusione, nella Unione Europea, alla Germania in versione merkeliana, così diversa da quella immaginata da Adenauer e realizzata da Kohl, non è casuale ma volontaria.

Svuotata d’ideologie e programmi, la politica cammina ormai solo sulle gambe degli uomini che la praticano, finendo condizionata esclusivamente, o quasi, dalle loro ambizioni e dai loro umori, se non li vogliamo chiamare interessi. E’ la bellezza del leaderismo, si potrebbe dire parafrasando la bellezza della stampa evocata in pellicola a Casablanca dall’indimenticabile Humphrey Bogart.

Così si spiega forse la pretesa di Beppe Grillo di raccogliere voti fini a se stessi, non per governare ma per sfasciare ancora di più quello che è giù sfasciato di suo, ed appagare in tal modo il suo vuoto protagonismo comico. O l’onnivoria di Matteo Renzi, che da sinistra – dove risiede ancora il suo Pd – vuole prosciugare l’elettorato di destra, o centrodestra, di Silvio Berlusconi invadendone anche i salotti e le reti televisive, dove si accomoda ormai come e meglio che a casa sua. O la sempre più debole resistenza oppostagli nei fatti da Berlusconi, umanamente pago dello spazio indubbiamente lasciatogli o restituitogli sul palcoscenico della politica dal giovane presidente del Consiglio con il cosiddetto patto del Nazareno. Un patto peraltro stipulato dopo una decadenza dell’ancora cavaliere da senatore pur voluta nello scorso autunno da Renzi in corsa allora per la segreteria del Pd, contro le tentazioni affacciatesi nel proprio partito di mandare la pratica paragiudiziaria di Berlusconi, dopo la sua acrobatica condanna definitiva per frode fiscale, da Palazzo Madama alla Corte Costituzionale.

Così si spiega anche la oggettiva contraddizione di un Berlusconi che da una parte protegge Renzi dai rischi di una crisi e dall’altra accusa il suo ex delfino Angelino Alfano e gli altri che lo hanno seguito nell’avventura del Nuovo Centrodestra di essergli alleato in modo trasparente, cioè partecipando al suo governo. E l’altra contraddizione di preferire ad una ricomposizione con Alfano quella con la Lega di Matteo Salvini, che pure per ragioni di sopravvivenza elettorale, dopo la rovinosa caduta di Umberto Bossi, ha spostato ancora più a destra il movimento del Carroccio e pratica un’opposizione al governo spesso in competizione solo con Grillo.

Ditemi voi, di fronte a questo scenario non certo inventato, se la politica è ancora una cosa –ripeto – da analizzare, e non da psicanalizzare, per giunta nel contesto drammatico di una crisi economica e sociale di cui nessuno, ma proprio nessuno, sembra in grado di avere le chiavi.

Francesco Damato

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