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Verso la legge di stabilità: scatta l’eurotagliola

Per aggiungere tormenti al già tormentato futuro che si prospetta per la nostra contabilità pubblica bisogna ricordare che nel 2015 sarà pienamente a regime la regola del debito europeo prevista dai trattati del six pack. Ricordo che tale normativa prevedeva che, tre anni dopo la chiusura della procedura per deficit eccessivo, avvenuta nel 2012, il nostro Paese dovesse dar seguito ai comandamenti contenuti nei trattati.

L’aprile scorso, quando fu approvato il Def, la scadenza imminente era già illustrata nei documenti governativi e commentata dagli esperti di tale astrusissima materia, che, sebbene vagamente campata in aria, ha un notevole potere coattivo sui nostri destini nazionali, potendo provocare, la sua disattesa, notevoli sanzioni con relativi danni finanziari e di immagine, essendo questi ultimi possibilmente gravidi di conseguenza anche peggiori.

Rileggere il Def, partendo sempre dalla nota di aggiornamento del settembre scorso, quindi è un’ottima occasione per ricordare a tutti noi cosa ci aspetta l’anno che verrà.

Ricordo a tutti che siamo tenuti, come Paese, ad osservare una regola della spesa, che riguarda il livello dell’indebitamento netto, e una regola del debito, che riguarda il livello debito/pil.

La regola della spesa si estrinseca in un obiettivo di medio termine che, nel caso nostro, è stato fissato nell’azzeramento del deficit strutturale, ossia dell’indebitamento netto depurato del ciclo, che dovrebbe condurci all’agognato pareggio di bilancio, e che il governo ha già chiesto di poter derogare al 2017, visto che nel 2015, quando avrebbe dovuto essere raggiunto tale obiettivo e nel 2016 non ci siamo riusciti.

La regola del debito che siamo tenuti ad osservare prevede che per assicurare la riduzione a un ritmo adeguato del rapporto debito/pil verso la soglia del 60%, siano rispettato il più vantaggioso di tre criteri:

1) Che nei tre anni precedenti al 2015 la distanza del rapporto debito/pil rispetto alla soglia di riferimento, si riduca in media di un ventesimo (benchmark backward looking);

2) che al netto del ciclo economico dei tre anni precedenti al 2015, il debito Pil del 2015 sia inferiore al benchmark backward looking;

3) che nei tre anni precedenti al 2017, sulla base delle previsioni della Commissione europea, la distanza del rapporto debito/pil rispetto alla soglia si riduca, in media, di un ventesimo.

La regola prevedeva pure che nel triennio 2013-15 il governo raggiungesse un ulteriore aggiustamento, il cosìddetto MLSA, che sta per minimun linear structural adjustment, ossia un ulteriore taglio di bilancio capace di far convergere il debito pubblico italiano, già l’anno prossimo, verso uno dei tre obiettivi che abbiamo visto prima.

Ebbene: abbiamo già visto che per la regola della spesa abbiamo chiesto una deroga. Rimane da vedere a che punti siamo con quella debito.

Nel Def dell’aprile scorso si stimava che servisse un aggiustamento minimo dello 0,9% del Pil, circa 15 miliardi, per rispettare la regola del debito nel 2015. Il governo, per riuscire, mise sul piatto un piano di privatizzazioni pari allo 0,7% del Pil l’anno, circa 10 miliardi, da attuare fra il 2014 e il 2017 che, raffrontandolo alle previsioni economiche di aprile (quando si prevedeva un pil in crescita) avrebbe assicurato il rispetto della regola del debito.

Ve la faccio semplice: la regola del debito non l’abbiamo rispettata. Il governo sostanzialmente prevede che inizierà a rispettarla dal 2016 e conta sulla comprensione delle autorità europee, oltre che di quelle nazionali, visto che la deviazione dovrà essere approvata dal Parlamento, dalla Commissione Ue e dal Consiglio europeo, dovendo nel frattempo fare i conti con un aumento del debito.

Come se non bastasse, il degradarsi delle condizioni dell’economia ha pure peggiorato, a legislazione vigente, il livello del MLSA necessario per garantire il rispetto della regola che sarà operativo dal prossimo anno, che adesso vale l’1,4% del Pil, ossia lo 0,5% in più. “Ne deriva – scrive il governo nella nota di aggiornamento – che in assenza di interventi, il saldo strutturale del 2015 dovrebbe essere corretto di quasi 3 punti di pil per consentire al debito/pil di convergere verso il 126% nel 2017″.

Ve la faccio ancora più semplice: il governo dovrebbe recuperare il 3% di Pil, una robetta da quasi 48 miliardi, eguale peraltro al deficit previsto per quest’anno e il prossimo, per rispettare la regola del debito casualmente scritta in costituzione.

Cosa pensa di fare il governo?

Della regola della spesa abbiamo già detto, ossia ha chiesto di derogare al 2017. Per la regola del debito, anche questa sostanzialmente rimandata, il piano è elaborare, nell’ambito della legge di stabilità, “una manovra fiscale non restrittiva e volta a finanziare interventi di natura strutturale allo scopo di sostenere la crescita economica e quindi rafforzare la sostenibilità del rapporto debito/pil”. Ossia agire sul denominatore più che sul numeratore.

Ma poiché anche il numerato conta, eccome, ecco che viene confermato il piano di privatizzazioni, spostandolo però di un anno, ossia dal 2015 al 2018, visto che nel 2014 non si è venduto granché.

Se poi dallo scenario a legislazione vigente guardiamo a quello programmatico, scopriamo che comunque dovremmo migliorare il saldo strutturale, sempre nel 2015, di 2,2% di Pil, oltre 30 miliardi, per consentire al debito di convergere verso l’obiettivo programmatico, che era del 125,3% del Pil entro il 2017, “correzione – scrive il governo – che è giudicata né fattibile, né auspicabile”. Ciò in quanto, scrivono, un miglioramento del saldo strutturale dell’1% è capace di generare effetti regressivi sul Pil nell’ordine dello 0,5-1,5%. Perciò se rispettiamo le regole finiamo in definitiva depressione.

Insomma: anche della regola del debito siamo costretti a infischiarcene.

Cosa succederà di conseguenza?

I trattati dicono che sta nella facoltà della Commissione europa valutare qualitativamente, qualora si sfori l’obiettivo, circa i “fattori rilevanti” in grado di giustificare lo scostamento.

Inutile che stia a tediarvi con l’analisi di questi fattori o che vi elenchi la lunga dissertazione del governo su quanto siano stati rilevanti nel nostro caso. Perché se non rispetteremo l’obiettivo, aldilà di quanto la Commissione si dimostrerà flessibile, scatterà implacabile la market discipline. La Commissione può anche concederci il beneficio del dubbio. I mercati esteri, che tengono in pancia oltre 600 miliardi di debito pubblico italiano, se ne possono tranquillamente infischiare. Per la cronaca, il 90% delle nostre obbligazione pubbliche, scrive il governo, sta in Europa.

Morale della favola: Nel 2015 scatterà anche l’eurotagliola.

In un modo o nell’altro.

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