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Che cosa penso di Renzi. Parla il politologo Piero Ignazi

Piero Ignazi è un politologo e studioso di partiti politici, insegna Politica comparata all’Università di Bologna, si è specializzato al Department of Political Science dell’MIT di Boston. È stato Direttore della Rivista di cultura e Politica Il Mulino, ha scritto numerosi saggi fra cui “Il polo escluso. Profilo del Movimento sociale italiano”, “Dal Pci al Pds”, “L’estrema destra in Europa”.

Incontriamo il Professor Ignazi a margine del suo intervento ad un convegno Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche italiane) sulla comunicazione politica, che lo ha visto dialogare con l’esperto di comunicazione Mario Rodriguez. Iganzi è uno che non la manda a dire, del resto la sua rubrica sull’Espresso ha un titolo rivelatore: Potere&Poteri.

Prof. Ignazi, crede che con il Jobs Act Renzi voglia candidarsi anche come il primo premier, nonché segretario del PD, che è riuscito a rompere il fronte sindacale?
Sul Jobs Act la prova di forza con il sindacato può portare il Pd a perdere la sua ragion d’essere cioè quella di un partito pro-labour. Per difendere le proprie posizioni la segreteria Pd rischia di mandare al macero una identità secolare di ciò che è un partito di sinistra aderente al PSE. Per giochi interni e per conquistare praterie elettorali a destra senza più interpreti. Renzi si muove su un terreno minato. Lo sfondamento a destra potrà anche riuscire ma con il rischio di snaturare il partito e di perdere consensi – verso l’astensione – a sinistra.

A guardare oggi l’Unione Europea, e pensando a Ventotene, si scorge una contrarietà, non solo storica, al pensiero dei padri fondatori dell’Europa, ma contraria anche ad un comune buon senso. Siamo proprio sicuri che per conservare la pace sia necessario stremare le popolazioni europee (non tutte evidentemente) e invece di conseguire lo sviluppo, garante della crescita, non solo economica, delle popolazioni europee, si finisca con il prepararla una nuova guerra?
Certamente la linea di sviluppo adottata dall’Ue , già da molti anni – a mio avviso dalla fine degli anni novanta – andava in collisione con l’idea federalista e solidarista dei padri fondatori. Aver scelto l’allargamento dimenticando, o rimandando ad un lontano futuro l’approfondimento, e cioè una nuova vera cornice di una unione sempre più stretta è stato un errore capitale. Da quella dimenticanza discende il fallimento dei referendum francesi e olandesi su quel topolino del trattato costituzionale. Un allargamento – necessario e giusto – senza che si modificassero in profondità le regole del gioco e soprattutto si riducesse (almeno) il deficit democratico della scarsa legittimazione popolare delle istituzioni comunitarie non poteva che produrre il distacco delle opinioni pubbliche europee e loro disaffezione. Di più: ha rinfocolato l’euroscetticismo. Oggi arriviamo al punto che David Cameron vorrebbe mettere in discussione la quarta libertà di Maastricht, cioè la libera circolazione delle persone all’interno della UE. Questo non è che uno dei frutti di una discesa verso gli inferi della ri-nazionalizzazione della politica europea. Una china pericolosa.

Renzi governa con una percentuale mai vista dalla sinistra, Berlusconi con il patto del Nazareno assicura l’appoggio esterno, Grillo non sembra più essere quello di una volta. Renzi è molto bravo, ha una innata capacità di leadership o sono gli altri che…
Renzi è stato abilissimo nell’irretire Berlusconi con una serie di lusinghe, prima tra tutti quella di fargli credere di poter essere “un padre della patria”. Seguendo questo piffero Berlusconi ha smesso di fare opposizione e il suo partito sta andando in pezzi. Un capolavoro quello di Renzi. Poi, come le cronache di questi giorni ci dicono, se Berlusconi fa le bizze c’è sempre l’arma di riserva dei grillini che all’occorrenza possono tornare utili e diventare protagonisti del gioco politico.

Secondo lei Renzi fonderà un nuovo partito? La sinistra PD marcerà verso la scissione?
Renzi prese la sua decisione di stare dentro il partito già all’indomani della sconfitta con Bersani alle primarie del 2012. Mentre molti suoi sostenitori e consiglieri gli suggerivano di abbandonare tutto e farsi il proprio partito, intelligentemente ha aspettato (e operato per) la caduta della leadership bersaniana ed ha raccolto i cocci. E adesso domina. Non vedo perché dovrebbe farsi un nuovo partito: trasforma a suo piacimento quello che ha in mano. Dubito che ci sia una scissione. Al massimo qualcuno uscirà alla spicciolata senza creare troppi patemi al segretario.

Perché tutti anche in politica credono di saper comunicare, mentre invece è chiaro che non sono capaci di farlo, almeno non hanno una visione strategica capace di dare respiro a riforme e ristrutturazioni, anche antropologiche, di questo malandato Paese…
In realtà penso che a buona parte dell’opinione pubblica piaccia – e si accontenti di – una comunicazione “superficiale” che rimane in superficie, e che va bene per i media televisivi. Mentre invece per comunicare in termini strategici ci vuole una caratura da uomo di stato, ma ne vedo proprio pochi in giro, oggi. Per questo ho nostalgia di uomini del passato, anche prossimo, scarsamente riconosciuti peraltro, come Tommaso Padoa-Schioppa.

Secondo Lei la riforma del Senato era veramente così necessaria?
Per me bastava cambiare i regolamenti. L’unica modifica importante poteva essere quella del voto di fiducia che avrei lasciato alla Camera. Comunque il progetto in votazione è una schifezza, per usare un eufemismo.

A chi giova la malata democrazia e incapacità di Governo dell’Italia?
A nessuno, se non all’illegalità di ogni tipo da quella criminale ed organizzata, a quella spicciola e quotidiana, delle piccole truffe e dei piccoli inganni.

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