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Ecco a cosa serve davvero (all’Europa) il Pil drogato

Si è parlato sin troppo dell’originalità delle nuove norme inserite nell’ESA 10 (European System Account), entrato a regime nell’ottobre scorso in sostituzione del precedente ESA 95, per la determinazione dei criteri per uniformare la redazione dei bilanci sia a livello centrale che periferico delle amministrazioni statali dei Paesi europei. Ha certamente suscitato clamore la possibilità di poter aumentare, all’interno della quota convenzionale di “nero” da tempo inserita nel calcolo dei PIL nazionali, il peso relativo alle attività illecite frutto della prostituzione, del contrabbando e del traffico di stupefacenti. In poche parole, consentendo ai Paesi membri di poter aumentare la percentuale di queste attività nel paniere che rappresenta il sommerso, si è dato un grosso aiuto per determinare aumenti dei rispettivi PIL, visto che l’economia reale “sana”, cioè quella prodotta dalle attività lecite che pagano regolarmente le tasse e che sono soggette ai controlli delle istituzioni, non è attualmente nelle condizioni di poterlo fare.

Ebbene la possibilità che la Commissione Europea ha concesso agli Stati modificando i parametri di queste attività ha esclusivamente avuto dai media e dagli osservatori economici una chiave di lettura a senso unico: visto che le economie ristagnano fra recessione e crescita bassissima, anche questa opportunità non del tutto “etica” permette almeno ai bilanci degli Stati membri di tirare una piccola boccata di ossigeno. Si valuta che con tale espediente i PIL europei possano recuperare non meno 0,4/0,5 punti percentuali di crescita aggiuntiva, con evidenti vantaggi in termini di rapporto debito e deficit sul PIL stesso.

Ma la verità per la quale la Commissione Europea ha concepito tale escamotage contabile è che stanno diminuendo, per colpa della contrazione dei PIL nazionali, i contributi che gli Stati quota parte erogano annualmente per il funzionamento della sempre più complessa e costosa macchina amministrativa europea. Facciamo due conti. Il bilancio complessivo dell’Unione è sostenuto con il trasferimento di circa l’1% dei rispettivi PIL nazionali degli attuali 28 Stati e da prelievi sui dazi all’importazione sui prodotti provenienti dall’estero dell’Unione e da una percentuale dell’IVA riscossa da ciascun paese, che tradotto in numeri hanno significato nel 2014 apporti per 142Mld di euro.

Naturalmente queste tre voci di finanziamento risentono della situazione di crisi, mentre il costo amministrativo, alimentato per circa il 6% del totale di questi trasferimenti, è in continua crescita. Vale la pena ricordare che l’Unione Europea, per il suo funzionamento amministrativo, si avvale di un vero e proprio esercito sparso fra le sedi di Bruxelles e Strasburgo, oltre che di uffici nei vari paesi membri e di delegazioni al di fuori dell’UE, che utilizzano la collaborazione di 33.000 persone presso la Commissione Europea, di 7.652 al Parlamento Europeo (più naturalmente i 751 europarlamentari) e di 3.500 presso il Consiglio dell’Unione Europea.

A questi vanno aggiunti, oltre alle risorse per la manutenzione degli edifici e per l’amministrazione, anche i costi per i cosiddetti servizi di supporto, quantificabili in 3000 interpreti freelance per garantire le traduzioni nelle 24 lingue ufficiali e di 250 addetti ai servizi. Ebbene con la sensibile contrazione della crescita di questi ultimi anni e con la spending review per il contenimento del budget imposta da tutti i Paesi, le casse dell’Unione si non ridotte.

Quale mezzo migliore quindi di questo classico “do ut des” adottato dalla Commissione Europea? Ti consento di aumentare il tuo PIL in modo virtuale, visto che non ci riesci in modo autonomo e reale (poco conta se è per colpa proprio dei vincoli stessi imposti dall’Europa!), ma di fatto faccio esclusivamente i miei interessi perché questo comporta automaticamente un aumento dei contributi (reali!) che tu paese membro devi versare per il funzionamento dell’Unione Europea stessa!

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