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Perché South Stream non è più così strategico per Renzi e Guidi

Il deterioramento dei rapporti occidentali con Mosca si ripercuote anche su South Stream, il gasdotto che dovrebbe portare gas dalla Russia attraverso l’Europa aggirando l’Ucraina, e in cui è impegnata l’italiana Eni.

Dopo anni di lavoro del Cane a sei zampe, l’opera potrebbe subire una battuta d’arresto a causa del protagonismo di Mosca in Ucraina, e in altri teatri internazionali, condannato nuovamente pochi giorni fa da Barack Obama dal G-20 di Brisbane.

NON PIU’ UNA PRIORITA’

A testimoniarlo ci sono le parole del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, secondo la quale l’infrastruttura “è utile, ma forse non più nella lista delle priorità“.

Oggi, in una conferenza stampa dopo la due giorni alla Farnesina Building a euro-mediterranean energy bridge, la titolare del Mise ha espresso una valutazione strategica, secondo la quale sarebbe utile una maggiore diversificazione delle fonti anche in funzione di una minore dipendenza dalla Russia.

South Stream – ha detto il ministro Guidi – non opera nel senso della diversificazione del fornitore. Considero più strategiche e prioritarie altre opere che comportano una diversificazione delle rotte ma anche dei fornitori“, come il Tap.

SCENARIO MUTATO

La posizione della Guidi è cambiata in questi mesi, con l’acuirsi delle tensioni tra Kiev e i separatisti filorussi, che secondo la Nato e l’Osce dipendono dal sostegno di Mosca. Parlando al termine del Consiglio Ue Competitività a Bruxelles, a fine giugno scorso, il ministro aveva ribadito il proprio appoggio al progetto. Ma sottolineò pure che “non c’è solo South Stream“, da considerare solo una parte “di un pacchetto di cui l’Europa dovrebbe dotarsi al più presto” per diversificare le fonti di approvvigionamento e le infrastrutture di trasporto, salvaguardando la sicurezza nazionale. In questo senso, aggiunse, l’Italia dovrebbe guardare in particolare ai Paesi del Nord Africa.

LE ANTICIPAZIONI DI DESCALZI

Che sul gasdotto ci fosse una riflessione approfondita era già risultato chiaro il 4 novembre scorso, quando il ceo di Eni, Claudio Descalzi, venne ascoltato dalla Commissione industria del Senato. La posizione fu chiara, come scrisse Formiche.net: l’Eni intende confermare i suoi impegni, ma non a tutti i costi. Se la spesa resterà nei 600 milioni concordati, tutto bene. Ma l’azienda petrolifera italiana non intende farsi carico dei nuovi oneri che derivano dalla conflittualità fra Kiev e Mosca. L’ipotesi di uscire da South Stream sarebbe stata semplicemente impensabile fino a pochi mesi fa. Lo stesso governo Renzi, appena insediato e con la crisi in Ucraina che iniziava a scuotere l’Europa, aveva lanciato messaggi contraddittori. Ora, invece, tutto appare più chiaro.

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