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Il piano del Pentagono per sviluppare l’economia in Afghanistan non funziona

Lo US Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction (SIGAR), John Sopko, in un incontro con i giornalisti (avvenuto martedì), ha detto chiaramente che gli sforzi degli Stati Uniti per sviluppare l’economia afghana «accomplished nothing». Non funzionano.

Compito dell’agenzia speciale diretta da Sopko è, adesso, capire cos’è che non va nella Task Force for Business e Stability Operations (TFBSO), l’unità del Dipartimento della Difesa creata per favorire lo sviluppo della zona mineraria (territorio ancora controverso e pericoloso), lo sviluppo industriale e la promozione degli investimenti privati. In pratica, creare un’economia afghana indipendente; compito che il Pentagono si è dato parallelamente alla ricostruzione delle forze di sicurezza locali.

Secondo il capo del SIGAR, gli sforzi americani si starebbero rivelando un fallimento abissale, e i motivi principali stanno nella mancanza di un leader che possa coordinare le attività, di una strategia a lungo raggio, e di una riconducibile catena di responsabilità. Una macchina senza spina dorsale, insomma. Un caso emblematico è stato quello uscito da poco, dei 20 aerei da trasporto G222, acquistati dal Dep Def per la forza aerea afghana – prezzo 486 milioni di dollari – e poi venduti al costo del peso del rottame, perché lasciati fermi sulla pista di Kabul senza piani di volo, tra incuria e scarso utilizzo.

E pensare che le ricchezze minerarie dell’Afghanistan hanno un valore stimato intorno a 1000 miliardi di dollari, ma le leggi che il TFBSO ha permesso di approvare al governo di Kabul, mancano di trasparenza in materia di appalti e proprietà, e non ci sono regole di gara sufficientemente aperte per attrarre investimenti dall’estero.

Recentemente, il governo americano ha approvato in via straordinaria la richiesta avanzata da una società iraniana, che ha in progetto di sviluppare quattro miniere in Afghanistan. La deroga alle sanzioni internazionali imposte sull’Iran dagli Stati Uniti (e da vari altri Paesi), è stata concessa su raccomandazione proprio del settore economico del Pentagono, che ha visto nell’iniziativa da Teheran una delle poche tratte di finanziamenti stranieri verso Kabul. E il dipartimento della Difesa, sa, suo malgrado, quanto l’Iran possa rappresentare un partner fondamentale per lo sviluppo economico afghano.

Il rischio principale, per gli ingenti investimenti spostati sul paese dalle varie amministrazioni americane che si sono succedute dal 2001 (anno dell’inizio dell’invasione USA) ad oggi, è la corruzione endemica, che fa il paio con la mancanza di sicurezza. Accoppiata su cui dovrebbe aver lavorato il Pentagono, ma che in realtà, a quanto pare, presenta ancora molte falle.

I ricavi interni del Paese, non coprono la spesa pubblica afghana se non per una modesta aliquota: il resto si regge sui finanziamenti americani, e di alcuni alleati – secondo un rapporto del Government Accountability Office, gli aiuti corrisponderebbero al 90 per cento del totale necessario.

Così, mentre a Capitol Hill l’impegno in Afghanistan viene percepito come “finito”, e l’opinione pubblica è indignata per le operazioni decennali, in realtà Washington, con la firma dell’accordo di sicurezza bilaterale, ha promesso un altro decennio di aiuti economici.

Il nuovo presidente Ashraf Ghani, ha in programma di lavorare per combattere la corruzione, e su questo sta dando segnali positivi, tanto che lo stesso Sopko si è detto ottimista per il futuro del paese tra dieci anni, sottolineando comunque che l’investimento in Afghanistan, rappresenta la maggior cifra spesa per la ricostruzione di un solo paese, nella storia della repubblica americana: «Non dovrebbe andare meglio?», ha concluso.

@danemblog

 

 

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