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Tutto quello che non è stato volutamente detto sulle società di rating

Attingendo dai ragionamenti della mia relazione al Convegno “Diplomacy Credit Rating: Strumento nelle relazioni Internazionali” tenuto a Roma il 19 ottobre 2012, cercherò di evidenziare elementi che sicuramente sono sconosciuti al grande pubblico al fine di far capire realmente cosa siano le società di rating. Il tema è estremamente complesso, ed il mio contributo sarà essenzialmente mirato a cercare di fare un po’ di chiarezza in merito alla natura dell’attività che svolgono e dalle implicazioni che determinano nel mondo finanziario domestico ed internazionale, specialmente alla luce dell’ultimo downgrade in BBB- attribuito all’Italia dalla società Standard & Poor’s.

E’ pertanto necessario chiarire e precisare sin dall’inizio che le società cosiddette di rating sono semplicemente delle società di consulenza finanziaria, che nello svolgimento della loro attività professionale, emettono delle valutazioni di merito di credito. Queste valutazioni essenzialmente debbono essere solo ed esclusivamente considerate come delle opinioni certamente qualificate, ma pur sempre opinioni e come tutte le opinioni rientrano nella sfera delle soggettività. Nella pratica infatti attribuiscono, attraverso un voto espresso in lettere in una scala di valori prefissata, un premio per il rischio a chi è in cerca di capitali emettendo titoli di varia natura sui mercati, soggetti che possono essere normali società per azioni o Stati Sovrani nella ricerca di finanziare il loro fabbisogno di liquidità emettendo obbligazioni. Quindi scendendo o salendo nella scala del rating, aumenta o diminuisce il premio per il rischio richiesto e quindi l’emittente deve corrispondere un differenziale di tasso (spread) più elevato rispetto al “Prime Rating”.

Nel passato sia i creditori che i debitori necessitavano di una valutazione di merito, per l’appunto di un rating, per poter operare nell’ambito della loro attività specifica e si rivolgevano a questa tipologia di consulenza finanziaria, per ottenere una valutazione indipendente del rischio di credito. Basti pensare alle banche, ai commercianti od alle società importatrici che necessitavano di informazioni finanziarie sulla solvibilità e sulla “bontà” dei loro interlocutori.  Da qui la nascita ed il proliferare di studi professionali all’inizio del ‘900 e poi in società sempre più organizzate, con lo specifico obiettivo di valutare il rischio di credito, ovvero di default, della più vari tipologia di debitori. Attualmente a dividersi più del 90% del mercato,  ormai identificato come vera e propria “industria del rating”, sono essenzialmente solamente tre: Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch,  in quanto negli ultimi 15 anni si è assistito ad uno shopping di acquisizioni ed integrazioni di altre società di consulenza per la valutazione del credito sparse per il mondo, al punto da creare di fatto un oligopolio a tre, con un fatturato annuo complessivo stimato fra i 4 ed i 5 Mld di dollari e lasciando le cosiddette “briciole” alle altre rimaste dall’Australia al Sud Africa per passare dal Sud America alla Corea e Giappone, o come ad esempio alla statunitense Kroll Bond Rating, nata da una costola del famoso gruppo investigativo. Ma un’attenzione particolare bisogna riservarla all’Agenzia di rating cinese Dagong, poiché per dimensioni e peso politico, rappresenta l’unica in grado di contrastare l’oligopolio delle altre tre “sorellastre” anglo-americane.

   Il termine Agenzia inoltre, poiché è uso comune utilizzarlo quando ci si riferisce alle società in questione, è del tutto forviante, in quanto dà adito a pensare ad un riconoscimento istituzionale od a una propaggine governativa, mentre si tratta solo ed esclusivamente di società private di consulenza finanziaria che nulla hanno a che fare con le istituzioni pubbliche.

Come detto, oggetto della loro consulenza, è la valutazione del rating, che si concretizza con l’attribuzione delle famose lettere di merito che esprimono essenzialmente percentuali di probabilità di default, cioè la probabilità che un emittente sia insolvente nel rimborso del capitale o degli interessi nei confronti del creditore. Inoltre è da precisare che i tecnici di tali società di consulenza considerano non tanto le classi di merito, quanto le probabilità di default sopra esposte e le scale delle lettere non sono così associabili in modo lineare al verificarsi dell’evento, poiché la differenza fra classi di rating di merito adiacenti, hanno degli scarti in termini di probabilità di default non proporzionali fra loro. Quindi esiste un margine di discrezionalità molto ampio degli analisti e l’attribuzione di una classe di merito, sia migliorativa che peggiorativa, viene in genere sempre accompagnata anche da una serie di consigli e prospettive future a breve e a medio termine con l’indicazione del trend, e questo sempre secondo le loro valutazioni.

Credo che sia anche opportuno precisare che gli addetti di queste società di valutazione, i cosiddetti analisti, non sono obbligati né all’iscrizione ad alcun albo professionale né all’aver conseguito nessun tipo di laurea. Quindi, quando si vedono nei servizi dei telegiornali quei giovani signori elegantemente vestiti con la valigetta nera d’ordinanza stretta nelle mani entrare nel palazzo del Ministero dell’Economia per valutare lo stato di salute del nostro Paese, magari hanno conseguito solamente l’abilitazione di perito chimico industriale invece di uno straccio di laurea in economia e questo perché semplicemente non è previsto e richiesto da nessuno!

Altra importantissima considerazione risiede nel fatto che tali società di consulenza, sono sempre state refrattarie, e mai del tutto trasparenti, nel divulgare i metodi nella determinazione e nel calcolo delle classi di merito. Ne è prova che queste società di consulenza, nei Tribunali in cui sono chiamate a giudizio per i più vari motivi, non hanno mai reso note le modalità con cui attribuiscono le probabilità di default, trincerandosi sempre nella genericità e che la loro attività è comunque ed in ogni caso di consulenza finanziaria e pertanto solamente da considerarsi come una “opinione” professionale e nulla più.

Inutile ricordare gli “scivoloni” come quello della Lehman Brothers nel settembre del 2008 che passerà come la più grande bancarotta della storia e quello più vicino a noi della Parmalat del 2003, che passerà invece per il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta ed aggiotaggio perpetrato da una società privata in Europa, dove fino al giorno prima le società di rating attribuivano loro una possibilità di default praticamente vicina allo zero!

Altra importantissima considerazione, specialmente nei confronti delle aziende italiane per il suo enorme peso penalizzante, è che l’assegnazione del rating fa sempre riferimento alla valutazione del paese di residenza dell’emittente, considerandolo come limite superiore per la valutazione in corso di attribuzione, anche se ultimamente si tende a non essere così rigidi come in passato. Cioè una azienda italiana con residenza in Italia per quanto in ottima salute, faticherà non poco rispetto ad una magari in minore stato di salute ma di un paese più virtuoso nella scala di rating, ad ottenere una classe di merito superiore a quello attribuito alle emissioni governative. Un elemento aggiuntivo per far “fuggire” ancora di più le nostre aziende all’estero in cerca di “residenze” in paesi con classi di merito migliori delle nostre!

Tornando alla cinese Dagong, è singolare come i verdetti delle loro analisi siano sempre diametralmente opposti a quello delle altre del settore, al punto da attribuire ad esempio la tripla A per il proprio paese e “declassare” gli Stati Uniti dalla tripla A attribuita da Moody’s alla semplice A, dopo che quest’ultima aveva identificato in tre scalini più in basso, cioè Aa3 il rating della Repubblica Popolare Cinese! Come dire che il proprio prato è sempre più verde del vicino e constatare ancora una volta che le società di rating forniscono solo ed esclusivamente delle semplici opinioni e tutte sempre diverse e contrastanti fra loro. Sulla base di queste differenze a volte macroscopiche di valutazione, inficiate da evidenti e palesi conflitti d’interesse, le “sentenze” delle società di rating, in particolar modo quelle espresse nei confronti dei debiti sovrani, hanno pesantemente condizionato gli andamenti di Borsa e creato non pochi problemi con riflessi anche politici ed istituzionali che hanno largamente travalicato le finalità di giudizio, in quanto l’errato peso che il mercato ha attribuito a questo strumento, privilegia le decisioni degli analisti rispetto alle ragioni addotte dall’emittente. L’Unione Europea ultimamente con l’ESMA, l’autorità che vigila sui mercati finanziari e gli Stati Uniti con il Dodd-Frank’s Act, stanno cercando di fare ordine in merito ai conflitti d’interesse con governance più autonome ed alle verifiche nelle procedure di valutazione.

Ma l’aspetto che ci coinvolge direttamente nella problematica dell’attribuzione del rating è nel fatto che gran parte dei legislatori, anche italiani, abbiano ritenuto queste opinioni come delle certificazioni ufficiali, tanto da prescrivere nelle normative, ad esempio dei fondi e delle gestioni, la possibilità vincolante di acquistare titoli, sia azionari che obbligazionari, solo a certi livelli di classe di Rating, cioè di merito, ed altresì costretti a vendere, ed anche con una certa rapidità, gli stessi titoli in caso di declassamento della classe di merito. Pertanto il gestore si ritrova obbligato a non poter acquistare, o a dover immediatamente vendere, in virtù di un’errata interpretazione dei legislatori che hanno scambiato dei semplici giudizi, frutto di consulenze finanziarie private con metodi non noti e non del tutto trasparenti e con il più che legittimo sospetto di essere influenzati da macroscopici conflitti d’interesse, per certificazioni ufficiali emesse da chissà quale istituzioni internazionali!

Questo è il vero paradosso: l’enorme potere mediatico acquisito di fatto dalle cosiddette società di rating che influenzano in modo così forte le scelte operative degli operatori finanziari di tutto il mondo, non deriva esclusivamente dall’errata convinzione che questi giudizi siano espressi da entità istituzionali, ma dal fatto di aver tratto in inganno gli stessi legislatori nel codificare nei regolamenti attuativi dei fondi e delle gestioni la loro funzione!

Perciò cerchiamo quanto prima di rimuovere questo cortocircuito e restituiamo il giusto ruolo che compete alle società di rating, cioè normali società di consulenza finanziaria che consigliano, nell’esercizio della loro attività professionale, determinate valutazioni di merito di credito, ed ai gestori la piena responsabilità di compiere scelte autonome nella gestione operativa dei fondi e gestioni che amministrano, non delegando all’esterno, se non come semplice consiglio, il compito di determinare le loro attività e scelte di trading.

Solo in questo modo non saremo più schiavi e condizionati dalle società di consulenza di rating, nel cui azionariato di controllo figurano da una parte hedge fund, banche internazionali, fondi d’investimento, società finanziarie e dall’altra motivazioni prettamente politiche utilizzandole, pilotandole e condizionandole a loro supporto, per compiere, a proprio uso e consumo, operazioni non certo a vantaggio della trasparenza e dell’equità di valutazione del rischio di credito.

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