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Così Oscar Farinetti vuole conquistare il primato del vino sostenibile

Lo vende e lo fa servire nei luoghi più impensabili, “perché il vino deve entrare ovunque” come ama ripetere ai suoi collaboratori. E così, dai treni di Ntv ai principali store di Ikea in giro per l’Italia fino addirittura al Museo Egizio di Torino, è possibile trovare i prodotti di Vino Libero, l’associazione di 12 aziende vitivinicole dal Piemonte alla Sicilia, lanciata due anni fa dal renzianissimo patron di Eataly Oscar Farinetti, comproprietario della cantina Fontanafredda di Serralunga d’Alba, nel cuneese.

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“Siamo un po’ fuori dagli schemi, vogliamo portare i nostri prodotti in luoghi insoliti e avere la possibilità di spiegarli, perché il problema oggi sta proprio nella difficoltà a comunicare adeguatamente quel che si fa e come lo si fa”. Chi parla è Alberto Grasso, presidente di Vino Libero e direttore agronomico di Fontanafredda e Mirafiore (altra cantina dell’associazione), oltre che coordinatore delle aziende vitivinicole del gruppo Eataly. Insomma, il braccio destro di Farinetti nel settore, il suo fidato collaboratore quando c’è da alzare un calice.

Il buon Oscar qualche giorno fa l’ha spedito a Verona per cercare di fare breccia in un pubblico fortemente specializzato. Forte di quella bucolica narrazione dell’agricoltura sostenibile dove i vigneti conoscono solo i concimi naturali selezionati, non sanno nemmeno che sapore abbia un diserbante e nelle cantine parlare di solfiti è come pronunciare una bestemmia, visto che vige l’obbligo di ridurli almeno del 40%, Grasso ha tenuto un workshop molto partecipato mercoledì scorso al wine2wine, primo evento business sul vino in Italia, messo in piedi da Veronafiere, che non a caso organizza il Vinitaly e curerà il padiglione “Vino – A taste of Italy” all’Expo di Milano.

La Bibbia del produttore di Vino Libero è un disciplinare molto dettagliato ed esigente nei suoi parametri pubblicato sul sito (www.vinolibero.it), tanto per stare al passo coi tempi che impongono trasparenza. Inutile dire che va rispettato alla lettera e che c’è uno staff di ragazzi pronti a controllare fino al particolare di come viene messo in vendita il prodotto. “E’ arrivato il momento di uscire dal caos dei marchi presente nel mondo dell’agricoltura sostenibile – spiega Grasso alle decine di persone intervenuto all’evento -, in Italia non è ancora possibile arrivare a un marchio unico. Il Ministero ci ha messo un anno e mezzo per fare un marchio che però ormai è morto”.

Nessun problema, il ministro Maurizio Martina può comunque dormire sonni tranquilli, ci pensano Oscar e i suoi a trovare la soluzione. “Vogliamo unire agricoltura, marketing e commercializzazione puntando a rappresentare l’eccellenza dell’agricoltura evoluta in Italia” scandisce Grasso. Il problema è che, almeno per ora, Vino Libero non ha fatto altro che aggiungere un nuovo marchio alla già affollata schiera del biologico e dintorni. “Il nostro scopo però – puntualizza l’argonomo farinettiano – è quello di mettere ordine nel caos dei marchi dell’agricoltura sostenibile. Per farlo occorreva crearne uno nuovo, non si poteva partire da quelli esistenti”.

Gli obiettivi però sono ambiziosi, e nel cassetto ci sono grandi progetti per il futuro che però Grasso non intende svelare: “Puntiamo, nel giro di qualche anno, a portare Vino Libero ad essere il principale marchio di questo settore in Italia. Ci stiamo lavorando, ma non vi posso anticipare nulla”. La strategia di marketing resta comunque invariata: “Al primo posto ci deve essere il marchio di Vino Libero, che deve sapere andare oltre le singole aziende delle quali è composto”. E soprattutto deve riuscire a soppiantare gli altri. Chissà se ce la farà.

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