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La presidenza italiana dell’Ue? Senza acuti

La recente intervista del senatore Mario Monti a Repubblica nella quale si auspica che l’Europa con maggiore elasticità pianifichi le scelte economiche con prospettive più ampie è probabilmente solo un segnale che merita però qualche considerazione.

Qualcuno ne dà una lettura unicamente in chiave Quirinale, ma è un po’ riduttiva anche perché basta la situazione greca a giustificare ampiamente l’opportunità di un approccio più lungimirante alla crisi economica internazionale.

Probabilmente Renzi quando ha reclamato maggiore autonomia per il nostro Paese ha sfruttato l’indubbio fallimento dell’UE nel governo dell’economia e la concomitante debolezza francese, ma il malcelato nervosismo della Signora Merkel, l’atteggiamento altalenante di Juncker e la saggezza di Schauble indicano qualche aggiustamento a Bruxelles.

Sicuramente in qualche salotto si è sottovalutato l’impatto sull’economia europea di scelte che hanno temporaneamente coniugato gli interessi di Stati Uniti e Germania a scapito del sud Europa garantendo poco spazio perfino alla Gran Bretagna (non a caso al di fuori dell’euro).

Quei salotti non hanno calcolato gli effetti collaterali della globalizzazione, i costi sociali della scelta di salvare la finanza a scapito dei cittadini e l’incapacità di governo di un’élite europea sempre meno leader e sempre più oligarchica.

Non è più sostenibile una linea di rigore però prodiga di aiuti a quelle banche che socializzano i titoli tossici garantendo le prebende della finanza. In questo quadro altrimenti poco esaltante si cominciano a vedere i frutti del paziente lavoro di Mario Draghi che è riuscito a portare la BCE ad un ruolo di ricaduta economicamente più diretta della politica monetaria.

Certi salotti nordeuropei forse hanno capito che sono lontani i tempi in cui si vendevano più di mille carri Leopard alla Grecia che chiedeva un maxi prestito o imporre scelte a favore delle banche del nord. E non è nemmeno più il momento del politico italiano ideale per Bruxelles, una sorta di cretin savant brillantemente incapace di tutelare gli interessi nazionali.

Renzi lo ha capito e spinge sull’acceleratore perché non sa quanto tempo ha, ma anche lui ha avvertito che ci sono spazi nuovi. Gli stessi Stati Uniti nel verificare l’ennesimo fallimento del Dipartimento di Stato forse iniziano a comprendere come la recente politica europea non solo non ha garantito gli interessi strategici, ma è incapace di costruire nuovi equilibri virtuosi.

Se non a Berlino almeno a Bruxelles e a Washington qualcosa si muove, sta all’Italia dimostrare la forza morale e culturale per partecipare a una nuova stagione.

Questo semestre di presidenza italiano si chiude senza acuti e francamente la nostra leadership non è parsa evidente nemmeno all’Ecofin, ma Renzi è un solista un po’ anomalo. Anche a me non piacciono i ragazzi del coro, ma ciò non significa che si debbano scegliere così spesso tra i ragazzi più stonati.

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