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Pietro Parolin, tutte le diplomazie di Papa Francesco (da Cuba al Medioriente)

Vicentino di Schiavon, classe 1955, figlio di un negoziante e di una maestra elementare, il cardinale Pietro Parolin è un diplomatico vaticano di lungo corso, ma non ha nulla del classico esponente curiale. Semplice nei modi, affabile e disponibile, ha piuttosto il tratto di un buon parroco del Veneto bianco. D’altra parte, se papa Francesco lo ha voluto a capo della segreteria di Stato, quale successore del cardinale Bertone, è per queste caratteristiche che lo avvicinano al pontefice argentino.

Dai tempi di Eugenio Pacelli (futuro papa Pio XII), Parolin è il segretario di Stato più giovane, ma l’esperienza non gli manca. Dopo aver prestato servizio in Nigeria e in Messico, ha lavorato in segreteria di Stato occupandosi dei rapporti con i Paesi asiatici.
Da quando è il numero uno della diplomazia vaticana, si è distinto per l’analisi del fenomeno del terrorismo. Poiché siamo di fronte a un’organizzazione che minaccia tutti gli Stati promettendo di scioglierli e di sostituirli con un governo mondiale pseudoreligioso, anche la reazione, ha spiegato, deve essere di nuovo tipo. Quella che occorre è una “risposta unificata, basata su solidi criteri giuridici e sulla volontà collettiva di cooperare per il bene comune” (discorso alle Nazioni Unite, 29 settembre 2014).

Due, secondo la Santa Sede, le linee sulle quali muoversi con urgenza: affrontare le origini profonde, culturali e politiche, delle nuove sfide e riflettere sull’adeguatezza del diritto internazionale così come oggi è concepito. Se nel primo ambito la parola chiave è giustizia, nel secondo si tratta di far valere la “responsabilità di proteggere”. E’ una realtà, ha detto Parolin all’Onu, che richiede “Nazioni Unite rinnovate”, perché ogni forma di apatia della comunità internazionale “è sinonimo di irresponsabilità”.

Anche la ricerca della pace, secondo Parolin, va perseguita con scelte multilaterali, il che vale soprattutto in Medio Oriente. Due i pilastri della diplomazia vaticana: una soluzione politica duratura al conflitto israelo-palestinese e un coinvolgimento dell’Iran nella soluzione delle crisi, compresa la lotta al cosiddetto Stato islamico. Ma niente si potrà fare, ritiene Parolin, se i leader musulmani non si assumeranno le loro responsabilità nel condannare ogni forma di violenza e nello sconfessare la pretesa dello Stato islamico di formare un Califfato. Da parte sua, la Chiesa è chiamata a dar voce ai cristiani perseguitati e a contribuire alla soluzione dei drammi umanitari, utilizzando la sua rete di relazioni per portare aiuti.
Quanto al fronte cinese, che vede la Santa Sede impegnata in una delicata partita a scacchi con Pechino, Parolin è per una linea di dialogo, in grado di valorizzare ogni segnale positivo. Noi, ha detto più volte, guardiamo con molta simpatia alla Cina e al suo popolo.

Quando gli chiedono in che modo intende interpretare il suo ruolo, Parolin risponde: “Lo stile non può essere che quello di Francesco, nel quale mi sento profondamente identificato: semplicità, apertura, vicinanza, serenità e gioia. Uno stile il più possibile simile a quello di Gesù Buon Pastore”. In un mondo plurale e frammentato, la diplomazia vaticana “può e deve affiancarsi agli uomini e ai popoli per aiutarli a rendersi conto che le loro differenze sono una ricchezza e una risorsa”. Come dice spesso Francesco, anche per Parolin le differenze non vanno annullate, ma fatte convergere nella costruzione di un mondo più solidale.

Aldo Maria Valli è vaticanista del Tg1

Articolo tratto dal numero 98 (Dicembre 2014) della rivista Formiche

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