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Chi guadagna e chi perde con il petrolio che punta ai 40 dollari al barile

Giù in picchiata fino a quota 40 dollari. Il petrolio, di settimana in settimana, viene visto sempre più in crollo dagli analisti. I target di questi giorni non osano violare la soglia dei 60 – anche se il Brent la ha già sfondata, ma i più ribassisti non hanno remore a puntare venti dollari più in basso. Soprattutto dopo l’ultima e recente decisione dell’Opec di non tagliare la produzione di greggio.

PERCHÉ IL PETROLIO CHEAP NON È UNA CATTIVA NOTIZIA

“Il prezzo del petrolio recentemente è stato volatile e crediamo che continuerà a fluttuare parecchio nel breve termine – spiegano gli analisti di East Capital – L’attuale prezzo del Brent è all’incirca di 40 dollari più basso di un anno fa e si dovrebbe tradurre in un trasferimento di 1,3 trilioni di dollari dagli esportatori di petrolio agli importatori. Una somma superiore al valore di un intero anno del terzo quantitative easing americano, oltre ad essere uno stimolo economico reale piuttosto che finanziario dato che, probabilmente, porterà benefici direttamente ai consumatori e ai produttori grazie ai prezzi più bassi del carburante e dell’energia”.

CHI NE BENEFICIA

Ci sono evidenze del fatto che per ogni calo di 10 dollari nel prezzo del barile “il Pil di Europa e Usa aumenta dello 0,2%, mentre quello delle economie più energivore e non produttrici – spiega Francesco Previtera, responsabile equity research di Banca Akros – hanno un impatto sul Pil reale dello 0,7%. Al contrario per Paesi produttori come Russia e Venezuala l’impatto è particolarmente negativo”.
Secondo East Capital, “la maggior parte dei mercati emergenti, più dell’80% dell’indice Msci, sono importatori di energia e dovrebbero beneficiare di prezzi più bassi. Tailandia, Corea, Turchia e India sono tra i Paesi dove l’importazione di petrolio conta per il 5%, o più, del Pil. Se i prezzi si stabilizzeranno agli attuali livelli il deficit delle partite correnti della Turchia diminuirà all’incirca del 2,5% mentre la crescita dovrebbe aumentare per almeno il 2%. Un più basso livello del prezzo del petrolio può anche rappresentare una celata benedizione per gli esportatori netti di energia divenendo uno stimolo per le riforme. L’attuale mossa della Russia, che è uno dei più grandi esportatori di petrolio, volta a un cambio che oscilla liberamente è un buon esempio e rende la Russia meno vulnerabile a prezzi del petrolio più bassi”.

STRUMENTO DI GEOPOLITICA

È evidente che il petrolio non sia solo una commodity, che quindi si muove in linea con i consumi globali e le innovazioni tecnologiche che lo riguardano, “ma da quando è diventato il vero collaterale dietro al dollaro, di qui la definizione di petrodollaro – afferma Gabriele Roghi, responsabile della consulenza agli investimenti di Invest Banca – è forse principalmente uno strumento di geopolitica globale che viene utilizzato per fare pressioni sui Paesi produttori e, chiaramente, anche su quelli consumatori”.

I TITOLI CHE SOFFRONO

“La fase attuale – continua Roghi – è molto difficile da interpretare perché non si capisce bene se sono gli Usa, appoggiati dal loro protetto saudita a menare le danze per mettere all’angolo la Russia, o se addirittura quest’ultima gioca di sponda con i sauditi per togliere dal mercato la nuova concorrenza americana rappresentata dall’industria dello shale oil e gas, basata su un elevato indebitamento e per questo con un break even molto elevato del prezzo del petrolio. Sotto gli 80 dollari sono in molti a soffrire, la discesa già verso 70 dollari potrebbe essere fatale per molte aziende private dello shale americano. E infatti l’incremento dei rendimenti del comparto obbligazionario high yield americano che si basa per il 16% su corporate di questo segmento è più che un segnale”. E non solo lo shale gas è in pericolo. Anche le società petrolifere in Europa rischiano grosso. “Eni e Total sono tra i titoli delle major Europee i più sensibili al prezzo dell’oro nero – conclude Previtera – per ogni dollaro in meno sul barile, gli utili operativi scendono rispettivamente di 1,7 e di 1,5 punti percentuali” .

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