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Sono due le vere pecche della Lega di Matteo Salvini

La vera grande novità politica di quest’ultimo scorcio del 2014 è indubbiamente Matteo Salvini. Il leader della Lega è riuscito in breve tempo a superare la crisi del suo partito e ad affermarsi a livello internazionale come un punto di riferimento della nuova destra. La metamorfosi che la Lega ha compiuto rapidamente da movimento secessionista anti nazione a partito classico del conservatorismo nazionalista estremo è un dato di fatto molto importante.

La capacità del segretario è stata proprio quella di comprendere il tramonto della fase Bossi e di investire su uno spazio politico lasciato sguarnito alla morte di Alleanza Nazionale. I temi al centro dell’agenda leghista sono quelli classici della destra: sicurezza per i cittadini contro la criminalità, con tanto di castrazione chimica per i violentatori, avversione per l’Unione Europea e gli immigrati, indicati su fronti opposti come causa della crisi economica e sociale, riaffermazione della sovranità nazionale nella sua forma canonica novecentesca.

Una notazione particolare richiede il legame internazionale con Putin e con la Francia di Marie Le Pen. Da un lato si indica nella leadership russa un modello orientale di democrazia populista, imperiale ed efficiente, e dall’altro si condivide con la destra francese il protezionismo politico dei fondamenti comunitari messi a rischio da banche, finanza e organismi europei, giudicati oligarchici e demoniaci.

La forte presa che la linea Salvini sta avendo in Italia si collega a due fattori importanti: una certa delusione per la politica di Renzi, la quale, finiti i fuochi fauti giovanilisti della prima ora, mostra falle dappertutto specialmente dal punto di vista economico; e una profonda depressione collettiva. Le ricette del premier non stanno smuovendo la nostra produttività e non riescono a risolvere neanche uno dei grandi problemi nazionali che ci tormentano. Forza Italia nicchia e glissa mentre l’alternativa di Salvini è drastica, coraggiosa e in aperta antitesi con la visione del Governo e del PD. Oltretutto, la Lega beneficia anche della crisi che sta attraversando il populismo grillino, declino a mio avviso definitivo di un movimento poco politico e molto meno solido dal punto di vista dei contenuti rispetto ai Lumbard.

Questa nuova destra, dunque, è forte, ed è una realtà con cui occorrerà fare i conti nei prossimi mesi, soprattutto all’interno dell’area di centrodestra.

Due limiti appaiono, malgrado tutto, decisivi. In primo luogo lo spauracchio di una presunta restaurazione politica del nazionalismo. Un tempo esso si reggeva sull’idea moderna di autosufficienza dei singoli Paesi e sulla potenza evocativa del patriottismo. Mentre però il tradizionalismo in Francia è una tangibile realtà, in Italia non è mai esistito con quella consapevolezza cosciente, per ragioni storiche e culturali. Inoltre, e questo è il punto decisivo, oggi le nazioni, posto che possano essere riaffermate nella loro dimensione identitaria, non sono più autosufficienti. Aristotele lo sapeva bene quando riconosceva che le differenze tra le diverse comunità sono una premessa importante, ma il concetto di autosufficienza cambia nel tempo e attualmente non s’identifica più con società chiuse territorialmente ed omogenee eticamente e linguisticamente.

La debolezza della proposta politica della nuova destra, in definitiva, sta esattamente in questo anacronismo. Una visione occidentale di tipo conservatrice dovrebbe ripartire, viceversa, non tanto da un’idea nazionalista irreale, quanto piuttosto dalla consapevolezza che rispetto alla sinistra che lavora su leggi univoche e criteri di uniformità le nostre società sono invece eterogenee e diversificate, e hanno bisogno di flessibilità e dinamismo. Partire dalle differenze naturali che compongono le nostre comunità implica, dunque, dare un fondamento democratico al conservatorismo, contrapponendolo all’egualitarismo che, comunque, ispira sempre i movimenti socialisti, e al falso mito dell’omogeneità sostanzialista della nuova destra.

Recuperare la nostra identità occidentale vuol dire adattare la democrazia alle difformità presenti nella società, proponendo, come diceva Irving Kristol, le virtù umane come etica di autogoverno e autocontrollo dei cittadini, rispetto a una politica, anche europea, che si sostituisce in modo legalista e artificiale alle persone e al loro spazio di libertà. Il modello russo, cui si ispirano Salvini e la Le Pen, considera i popoli come soggetti sostanziali, omogenei oltre che autarchici, in continua espansione, condizioni che non caratterizzano la visione della democrazia conservatrice euro-atlantica.

Una proposta come quella della Lega, insomma, è valida su molti punti, ma si basa su un’idea troppo orientale e troppo poco atlantica per soddisfare le esigenze di un centrodestra di tipo occidentale compatibile con la realtà europea del nostro Paese.

Il vero punto interrogativo che resta riguarda il mondo americano. Forse una proposta liberale diversa rispetto alla Lega potrà presentarsi quando vi sarà una volontà internazionale corrispondente che vorrà renderla possibile. Prima di allora, non mancheranno sicuramente le idee, ma sarà fatalmente assente un vero interesse concreto a far nascere in Italia un centrodestra che si proponga come polo democratico e liberale di espressione delle differenti realtà personali e sociali del nostro Paese, sicuramente non rappresentate né dalla Lega, né dal PD. E il rischio è che l’Italia non abbandoni solo l’Europa ma anche i più generali riferimenti alla cultura occidentale.

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