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Se neanche i preti fanno il presepe

Finché sono le istituzioni laiche ad attaccare il presepe, uno dei simboli più forti e belli della tradizione cattolica – come puntualmente avviene ogni anno e come anche quest’anno è accaduto in una scuola pubblica di Bergamo e a Nantes dove il tribunale amministrativo ha vietato la presenza dei presepi nei luoghi pubblici – ovviamente la notizia spiace ma non sorprende più di tanto, schiacciati come siamo da una cappa di intolleranza politically correct tanto più insopportabile quanto più della tolleranza vien fatta una bandiera ogni due per tre dai gendarmi del pensiero unico. Ma se è un prete a non voler fare il presepe, beh, la cosa cambia. E preoccupa parecchio. L’incredibile vicenda ha come protagonista don Andrea Foglia, parroco di S. Abbondio nonché direttore dell’Archivio storico diocesano in quel di Cremona, che l’8 dicembre ha firmato sul quotidiano La Provincia un articolo dove ha annunciato urbi et orbi che quest’anno il suo Natale sarebbe stato diverso. In che senso? “Quest’anno il mio Natale sarà ordinario e normale, un Natale in tono minore, da vivere più nell’interiorità che nelle forme esterne”. Per poi aggiungere: “Non farò il presepio, o meglio, non lo farò in casa…voglio un Natale senza segni esteriori, senza artifici, senza sfarzo. Voglio un Natale tutto interiore, non in casa ma nel silenzio e nel segreto del mio cuore”. Oibò. Va bene l’esigenza del raccoglimento, del vivere la festa in modo sobrio, del saper andare oltre il luccichio dei festoni ecc. Ma che c’entra il presepe?? Cos’ha di “esteriore” o di “sfarzoso” la più umile delle rappresentazioni? Ma non è neanche questo ciò che più stona. E’ la teologia che si legge in controluce nelle parole del prelato che fa acqua da tutte le parti, e che la dice lunga sul grado di protestantizzazione di fatto di tanta parte del cattolicesimo contemporaneo. Se c’è un aspetto che il Natale sottolinea, ciò che differenzia il cattolicesimo da ogni filosofia o religione, è proprio il suo essere una fede incarnata, storica, visibile, niente affatto intima e privata. Né i pastori né i Magi sono andati ad adorare un’idea, un sentimento, ma una persona in carne e ossa, il Figlio di Dio fatto uomo. In questo modo invece, come ha giustamente sottolineato Mauro Faverzani su Corrispondenza Romana, il Natale viene ridotto “non solo a mero sentimentalismo, bensì anche a sterile solipsismo, soggettivismo, individualismo, dimenticando totalmente quella «dimensione pubblica della fede», codificata a chiare lettere più volte da Benedetto XVI e da Giovanni Paolo II, che misero in guardia dai rischi impliciti in una fede intimistica, chiusa nelle sagrestie e ridotta a fatto esclusivamente personale e privato, privo d’incidenza confessionale, con le proprie ricadute concrete morali e sociali”. Che si tratti dell’ennesimo smottamento di fronte all’urto del pensiero unico dominante? Gli indizi, purtroppo, ci sono tutti. Basti dire che nell’articolo citato d. Andrea si aspetta che la Madonna lo aiuti a “considerare la donna senza pregiudizi, a parità di diritti dell’uomo, anche dentro la Chiesa”, di fatto applicando alla Madre di Gesù stantii cliché tardo-femministi assolutamente fuori luogo oltre che di dubbio gusto; e che dire dei Magi, che il Nostro vuole non più uomini sapienti che seguendo la stella sono arrivati a Betlemme per adorare il bambino, ma poveri immigrati che ci debbono insegnare a non “guardare con sospetto o con fastidio la gente che viene da lontano, anche quella che a volte mi disturba o mi preoccupa», e a «ritrovare un giusto senso di pietà e di comprensione verso tante situazioni di emarginazione e di degrado», ammantandoli di un terzomondismo peloso lontano anni luce dal genuino atteggiamento del buon samaritano? Ci sarebbe altro da aggiungere, ma ci fermiamo qua. Stavolta sul serio, per carità cristiana.

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