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Torti e ragioni del premier sull’articolo 18 stile Renzi

Quando polemizza con gli esponenti di Area popolare che criticano lo schema di decreto legislativo sul contratto a tutela crescente (con annessa la disciplina del recesso) Matteo Renzi usa un argomento difficile da smontare: loro, a suo tempo, hanno governato per anni, ma si sono guardati bene – dopo lo scontro con Sergio Cofferati nel 2002 – dal riproporre nuovamente una riforma di quell’articolo 18 che ora vorrebbero abolire.

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Per capire come sarebbe finita la vicenda del Jobs act Poletti 2.0 non erano necessari abili ed informati retroscenisti capaci di raffinate analisi in punta di penna; e neppure informazioni di prima mano di quanti si accreditavano come protagonisti  della stesura dei testi. Bastava seguire due piste tra loro coerenti e collegate: la  convenienza politica e l’interpretazione delle norme per come venivano man mano prendendo forma.

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Sul versante della convenienza politica, era del tutto evidente che, dopo l’accordo intervenuto alla Camera all’interno del Pd, Matteo Renzi non avrebbe mai  commesso l’errore di ricompattare la sinistra del suo partito, tanto più che, grazie all’emendamento a prima firma Gnecchi (rettificato e condiviso dal Governo),  il premier si era assicurato l’appoggio di personalità  – come il presidente della XI Commissione della Camera Cesare Damiano  e il capogruppo a Montecitorio Roberto Speranza – che ricoprono ruoli  istituzionali cruciali per portare a buon fine l’iter legislativo del provvedimento. Inoltre, il poter contare su di un pezzo dialogante della sinistra aveva permesso a Renzi di depotenziare l’opposizione e lo sciopero della Cgil, al punto che Damiano e gli altri ‘’mediatori’’ si erano tirati addosso, il 12 dicembre,  gli strali più appuntiti  della polemica negli sgangherati discorsi dei leader sindacali.

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Quanto all’interpretazione delle norme – il cui percorso legislativo è divenuto, strada facendo, meno generico –  non sarebbe onesto sostenere che lo schema del decreto delegato sull’istituzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti non è coerente con i principi e i criteri della delega.

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Si sarebbe potuto fare di più e meglio? Certamente. In questa vicenda si sono sprecati quelli che Dante definisce  ‘’consigli fraudolenti’’: fare molte promesse e mantenerne poche. Renzi, nonostante la giovane età, è un maestro in tale pratica. Certo, ha ragione chi critica il Governo per aver tenuto conto, nel formulare il testo, soltanto di rabbonire una parte dell’opposizione interna al Pd. È questa la verità. Ma esistono altre forze politiche in grado di impensierire davvero Renzi? E’ credibile che Area popolare apra la crisi di governo su di un punto del Jobs act Poletti 2.0  che, alla fine, non interessa neppure alla Confindustria?

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