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Tutte le pene di Putin

“Non ci sarà South Stream se l’Europa non lo vuole. L’Ue continua a ostacolare il progetto. Se prosegue porteremo altrove il nostro gas”. Con queste parole Vladimir Putin dà il via ad un nuovo episodio della guerra fredda del gas. E minaccia di concentrarsi su un altro progetto con la Turchia, il gasdotto Blue Stream. Colpito dalle sanzioni economiche dell’Unione europea e gli Stati Uniti per la crisi ucraina, dal crollo del valore della sua moneta, il rublo, e dal prezzo del petrolio, il presidente russo usa le armi che può, quelle conferite dal potere energetico.

RUBLO INDEBOLITO

La moneta russa ha sofferto la più grande svalutazione dal 1998: 50,88 rubli per un dollaro. Un crollo previsto dagli analisti da quando la Banca centrale russa ha deciso di non intervenire più per difendere il rublo dagli effetti della caduta del prezzo del petrolio. Secondo Natalya Zubarevich, direttrice dell’Independent Institute for Social Policy di Mosca, “dopo l’adesione della Crimea, persone benestanti hanno cominciato a spendere in Russia, acquistando case, macchine, elettrodomestici. Si sono spesi molti soldi per paura di una svalutazione ed è arrivata”.

Il valore del rublo è precipitato dopo che il vertice dell’Opec ha deciso a Vienna di non procedere ai tagli e mantenere la produzione del greggio agli attuali 30 milioni di barili al giorno almeno fino a giugno del 2015.

IL PREZZO DELLE SANZIONI

Una crisi economica prevista da Anton Tabakh, economista senior dell’Istituto di energia e finanze russo: “Le sanzioni costeranno all’economia russa un rallentamento della crescita e un aumento dell’inflazione nei prossimi due anni. Le economie, a meno che si tratti di un blocco totale ad un Paese piccolo, si adeguano alle sanzioni, anche se è vero che i primi anni il prezzo di questo adeguamento è alto, sia per le imprese che per i cittadini”. Ad agosto, quando sono partite le sanzioni dall’Occidente e le restrizioni alle importazioni da parte del Cremlino, il Pil è cresciuto lo stesso dello 0,9%. La tendenza per il 2015 e il 2016 è di contrazione ma sempre in positivo.

IL FATTORE “CONSUMI”

Secondo l’agenzia di statistiche Rosstat, le vendite sono aumentate del 2,7% nel primo semestre del 2014. Da quando Putin è ritornato al potere nel 2000, il consumo è diventato uno dei motori della crescita della Russia, stimolando una maggior distribuzione dei profitti petroliferi. Grazie alle esportazioni di petrolio e la crescita di settori come la distribuzione, finanza ed edilizia, il reddito della popolazione è aumentato del 5% fino al 2013.

Prima dell’inizio della “guerra fredda del gas tra la Russia e l’Occidente”, come viene definito da alcuni esperti, il Fondo Monetario Internazionale ha previsto per la Russia una “crescita debole” del 1,6% tra il 2015 e il 2019.

FUGA DI CAPITALI PRIVATI

Un altro problema economico che affronta Putin è la fuga di capitali privati. La rinuncia degli investitori è stata massiva nel 2014. Durante il primo trimestre sono andati via 48 miliardi di dollari, mentre nel secondo trimestre 26 miliardi. Secondo il Ministero dello Sviluppo economico russo le perdite questo anno saranno di 100 miliardi di dollari.

DOPPIA DIMENSIONE DEGLI INVESTIMENTI

Il problema degli investimenti ha una doppia dimensione in Russia: da una parte, l’economia dipende del reddito petrolifero, che rappresenta due terzi delle esportazioni. Ma il settore energetico ha bisogno di iniezioni di capitali per potere produrre. Il 90% delle estrazioni data dal 1998 nella Siberia occidentale e questi giacimenti, secondo il Gruppo Coface, hanno raggiunto il limite massimo di produzione. Non può andare oltre il record di 10,5 milioni di barili al giorno raggiunto nel 2013. Da un’altra parte, la Russia non è un’economia totalmente dipendente dall’energia. Il gas e il petrolio rappresentano il 30% del Pil. L’economia russa produce anche automobili, macchinari e prodotti agricoli, ma ha bisogno di investimenti stranieri per andare avanti.

RINUNCIARE AL SISTEMA OLIGARCHICO

Secondo il sociologo americano James Petras, “il recupero dell’impero economico e militare della Russia riuscito da Vladimir Putin è compromesso dalla guerra economica imposta dagli Stati Uniti e l’Unione europea”. L’accademico sostiene che questo confronto costringerà al presidente russo a rivedere le sue relazioni con il sistema oligarchico ereditato dall’era Yelsin, “sistema che Putin riformò e controllò in parte, ma che preservò per riscattare la Russia dal marasma economico in cui era. questo vecchio sistema non basta. O Putin elimina il modello oligarchico e apre una nuova fase innovatrice dell’economia russa coinvolgendo diverse forze produttive, diverse classi sociali, insieme ai mercati emergenti dell’Asia, o mantiene il vecchio sistema oligarchico che lo porterà alla bancarotta”.

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