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Caro Mario Draghi, perché non valuta un’austerità per parole e annunci della Bce?

MARIO DRAGHI BCE

Molto sommessamente e con tutto il rispetto per l’istituzione e la stima per la persona, mi permetto di dire che il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, dovrebbe iniziare un periodo di silenzio stampa. Una pausa, un’apnea, senza dichiarare, senza rispondere a domande di giornalisti, senza lasciare supporre. Sui mercati, come sa chiunque li segua quotidianamente, da tempo la fa da padrona la volatilità e basta un nulla per farli impennare o inciampare. Se questo imbizzarrimento fa piacere a chi è bravo nel timing (per capacità o fortuna), alla lunga è una iattura, perché accresce il sospetto già diffuso che le borse siano delle bische. E certamente non è quanto il presidente della Bce auspica.

Ma il frequente parlare, anche se solo per vaghi cenni, della possibilità o addirittura dell’imminenza di un quantitative easing da parte delle Banca europea, scatena delle reazioni, in un senso o nell’altro. I mercati, ovviamente, non possono restare neutrali all’idea che stia per arrivare una manna (o una droga) da miliardi di euro destinata ad acquistare titoli di Stato. Infatti ogni volta che a Francoforte si affronta o anche solo si sfiora il tema, ecco Dax, Cac, Ftsi Mib con la febbre, pronta immediatamente a scendere appena arriva l’aspirina di una qualche smentita.

Ora si sa che Draghi, preoccupato per un’economia in deflazione e in ansia crescente per l’avvenire dell’euro, ha una sua ricetta che consiste appunto nel ricalcare, pur nei limiti dello statuto della Bce, quanto fatto con successo dalla Fed statunitense. Ed è una linea probabilmente condivisibile. Ma nessuno meglio di lui sa quanti avversari abbia in capitali importanti. Forse sarebbe più prudente prima di parlarne in pubblico, sondare che cosa ne pensano a Berlino e dintorni.

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