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Mattarella eletto con le buone e con le cattive

Matteo Renzi, nella sua doppia veste di presidente del Consiglio e di segretario del Partito Democratico, è alla fine riuscito con le buone e con le cattive a far eleggere il suo candidato Sergio Mattarella a presidente della Repubblica. Addirittura con 665 voti: ben 160 in più dei 505 necessari nella quarta votazione, quando è sufficiente la maggioranza assoluta dell’assemblea dei parlamentari e dei delegati regionali, e solo 8 in meno dei 673 che sarebbero stati necessari, con la maggioranza dei due terzi, nei primi tre scrutini.

Mattarella con saggio realismo ha accolto la notizia dell’elezione rivolgendo un pensiero alle “speranze” ma anche alle “difficoltà” degli italiani. Difficoltà fra le quali vanno annoverate anche quelle procurate al quadro e agli equilibri politici dalla maniera molto di parte, targata Pd, in cui Renzi ha voluto lanciarne e sostenerne la candidatura, compromettendo il cosiddetto patto del Nazareno con Silvio Berlusconi sulle riforme istituzionali e la stessa sopravvivenza della maggioranza di governo.

Le pressioni sul ministro dell’Interno e presidente del Nuovo Centrodestra Angelino Alfano per smuoverlo dal rifiuto originariamente opposto, insieme con Berlusconi, alle modalità della candidatura di Mattarella, criticate peraltro anche dell’ormai ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sono arrivate a lasciare intravedere la rimozione dello stesso Alfano dal Viminale.

E’ accaduto, in particolare, che dalle parti del già diviso e traballante Nuovo Centrodestra sono giunte le voci che, a partita del Quirinale chiusa, sarebbero potute arrivare le dimissioni di uno o due ministri del Pd, comunque motivate, anche di natura personalissima, per dare al presidente del Consiglio l’occasione di quello che nel gergo della cosiddetta Prima Repubblica si chiamava “rimpasto”. Che era un modo di sostituire e spostare ministri, promuovendoli ma anche declassandoli.

Queste voci sono giunte a destinazione proprio mentre, a torto o a ragione, si attribuiva al presidente della Commissione Esteri del Senato, ed ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, un amichevole intervento su Alfano, alleato dello stesso Casini nell’operazione parlamentare di unificazione dei rispettivi partiti chiamata “Area Popolare”.  Un intervento tradotto così dai cronisti del Corriere della Sera: “Avrai difficoltà da ministro dell’Interno a non votare Mattarella”. Parole analoghe a quelle che contemporaneamente venivano attribuite a un furente Renzi a colloquio con lo stesso Alfano, invitato a riflettere sul rischio di una inedita e inaccettabile distanza fra Viminale e Quirinale, cioè tra Ministero dell’Interno e Presidenza della Repubblica.

Tutto questo ha naturalmente creato grossi problemi ad Alfano anche nel suo partito, o area. Dove si sono già registrate, dopo la resa di Alfano a Renzi, e il conseguente voto a favore di Mattarella, le dimissioni del capogruppo al Senato Maurizio Sacconi. Si sono inoltre intrecciati contrasti e timori di natura personale e politica in riferimento alle prospettive di un ulteriore o pieno recupero dei rapporti con Berlusconi, in vista delle elezioni regionali della prossima primavera. Ma anche delle elezioni politiche, che potrebbero svolgersi ben prima della scadenza ordinaria del 2018 indicata a parole come proprio obbiettivo da Renzi, ma ogni tanto contraddette da minacce o accenni alla possibilità di un anticipo, anche a breve, senza una nuova legge elettorale.

I primi contraccolpi della chiusura della partita del Quirinale si potrebbero avvertire proprio nel percorso parlamentare della riforma elettorale, e di quella costituzionale. Un segnale è stato lanciato dall’ex segretario Pier Luigi Bersani, fra i grandi elettori di Mattarella ma notoriamente critico, con la minoranza del Pd, su aspetti importanti di quelle riforme. Egli ha detto ad Aldo Cazzullo, del Corriere della Sera, di fare affidamento sulle qualità di “giurista” del nuovo capo dello Stato, giudice uscente della Corte Costituzionale. “Non è uno che fa passare qualsiasi cosa. Certe sciocchezze incostituzionali non le farà passare”, ha detto testualmente Bersani. A buon intenditor poche parole, dice un vecchio proverbio.

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