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Il Belgio lotta contro i terroristi (anche per noi)

Un’operazione antiterrorismo compiuta in diverse città del Belgio ha causato giovedì pomeriggio due morti e un ferito. C’è stata una una sparatoria a Verviers, nella provincia di Liegi, nel sudest del paese, e vicino al confine con la Germania.

Anche le città di Bruxelles, Molenbeek, Zaventem e Vilvorde sono state coinvolte nelle perquisizioni, esplosivi sarebbero stati trovati ad Anderlecht, un comune di circa 100mila abitanti poco più a ovest di Bruxelles. La BBC ha detto che sono finiti in manette 13 sospettati di attività terroristiche (l’emittente belga Rtl riporta che in mezzo ci sarebbero dei ceceni), tutti più o meno legati all’ambiente jihadista. Alcuni sono riusciti a fuggire, per questo il governo di Bruxelles ha deciso di alzare il livello di sicurezza.

Didier Reynders, ministro degli Esteri belga, ha detto stamattina, venerdì, che l’operazione è momentaneamente conclusa, anche se l’allerta resta alta – molte scuole ebree sono state chiuse, si temono ritorsioni. I blitz erano scattati perché l’intelligence era venuta a conoscenza di un piano imminente per attaccare stazioni di polizia: gli attentatori progettavano di aprire il fuoco contro gli agenti.

Il procuratore Thierry Werts ha detto ai giornalisti, che oltre alle armi, durante i raid è stata confiscata una grossa quantità di soldi (non si sa il valore esatto).

Tutti gli arrestati, secondo le prime notizie uscite, sarebbero uomini che hanno combattuto in Siria: terroristi di ritorno, dunque, simili a Mehdi Nemmouche, il killer del Museo Ebraico di Bruxelles (quattro persone uccise a sangue freddo in maggio), catturato per sbaglio, durante una banale perquisizione dell’anti-droga a Marsiglia. Nemmouche si era radicalizzato in carcere ─ dove era finito per reati comuni, e trovato nella fede l’unico appiglio. Era stato in Siria, ed era stato anche seguito dai servizi, poi aveva fatto perdere le sue tracce (la priorità era conseguentemente calata): le ricostruzioni successive all’azione, hanno verificato che aveva avuto contatti con l’Isis (se n’era già parlato su Formiche).

Non stupisce che il Belgio sia al centro dell’universo jihadista europeo. Dati alla mano (studi pubblicati dall’inglese International Centre for the Study of Radicalisation citato dal Guardian), è il paese europeo con più alta percentuale di jihadisti partiti in Siria, rispetto alla popolazione totale. Secondo il ricercatore belga Pieter Van Ostaeyen, sarebbero circa 400 ─ quaranta finora sono quelli rimasti uccisi.

Da qualche mese è iniziato un grosso processo ad Anversa (si dovrebbe concludere a febbraio), dove al banco degli imputati siedono 46 elementi tutti collegati a una cellula locale, che forniva formazione e reclutamento per andare a combattere in Siria. Il gruppo si chiamava “Sharia4Belgium” ed era stato fondato da Houssein Eloussaki: ora lui è morto e il gruppo si è sciolto (dal 2012). Il fratello, Hakim, tra quelli a processo ad Anversa, è uno dei casi più interessanti di “pseudo pentimento” di questa fase del jihad. Insieme a lui, ci sono altri elementi che si sono aperti agli inquirenti: ma è tutto ancora in divenire. Una volta in Siria, “Sharia4Belgium” confluì in  “Majlis Shura Dawlat al Islam”, che era guidato dal siriano Abu Atheer al Absi. Al Absi, e il Majilis si comportavano “come l’attuale Isis”, ma prima che l’Isis nascesse in Siria: rapivano giornalisti, combattevano il FSA, reclutavano e inglobavano combattenti esterni; molti belgi confluirono nel gruppo. Secondo alcuni racconti, sembra che al Absi ebbe contatti diretti con l’attuale Califfo Abu Bakr al-Baghdadi: anzi, si dice che fu anche per l’opera di al Absi che l’allora Isi iracheno decise di ampliare le proprie iniziative sul territorio sirniano. Se così fosse, i jihadisti belgi, i foreign fighters europei, furono testimoni diretti di un pezzo fondamentale della storia del jihad contemporaneo.

Secondo le dichiarazioni della polizia, le operazioni in Belgio non sarebbero legate ai fatti successi a Parigi la scorsa settimana: le indagini sarebbero iniziate prima degli attacchi in Francia. Anche se, da quanto emerso, c’è un qualche collegamento: gli uomini di Verviers in passato avrebbero inviato lettere minatorie alle edicole di Jette, per impedire le vendite delle copi di Charlie Hebdo.

Il lavoro dei servizi segreti, in Belgio come altrove, adesso è fortemente concentrato sul tracciare chi torna dalla guerra. Quelli che, una volta prestato servizio tra le fila del Califfo o di qualche altro gruppo, rientrano nel proprio paese di origine. Non solo, perché c’è pure tutta la fitta rete logistica dietro a certe persone. Molto spesso, chi ha fatto la hijra, la migrazione (in questo caso per il jihad), è molto attivo sul fronte della propaganda. Si muove sul web, manda messaggi a casa, infuoca i cuori più sensibili a certe argomentazioni. Twitter è pieno di combattenti stranieri, belgi come canadesi o francesi, che chiamano i “fratelli” ad unirsi a loro.

Lo scenario belga è molto preoccupante: le armi non mancano, la criminalità locale è diventata forte grazie al commercio. Lo scalo portuale di Anversa, è il secondo più grande del continente (dopo Rotterdam). I traffici sono fitti: dai dati elaborati dalla European Monitoring Center for Drug and Drugs Addiction, circa il 25 per cento della cocaina che arriva in Europa dal Sud America passa per Anversa. È lecito pensare, che tra le maglie larghe dei 160 chilometri di banchine e dei 140 mila dipendenti, al porto ci sia spazio non solo per la droga, ma anche per il traffico di armi. Amedy Coulibaly, il terrorista del negozio kosher di Parigi, era andato in Belgio a “rifornirsi”: un trafficante locale ha poi confessato di avergli venduto lui le armi che sono servite per il massacro.

E a Bruxelles si tengono le riunioni della Commissione e del Parlamento europeo. Un luogo centrale della nostra Europa.

@danemblog 

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