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Split payment, che cos’è e perché fa imbestialire le imprese

Non bastavano i ritardi colossali delle amministrazioni pubbliche nel saldare i fornitori. Ora a complicare la vita delle imprese è giunto pure lo split payment, il meccanismo introdotto dal governo Renzi con la Legge di stabilità 2015 per il pagamento dell’Iva da parte della Pubblica amministrazione. Gli enti statali, in buona sostanza, non verseranno l’Imposta sul valore aggiunto all’azienda fornitrice ma direttamente all’Erario, così che le aziende si troverà con meno liquidità in tasca e senza la possibilità di compensare un credito.

CHE COS’E’ LO SPLIT PAYMENT

L’articolo 1 comma 629 lettera b) della legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge di stabilità), ribattezzato “Operazioni effettuate nei confronti degli enti pubblici”, modificando a sua volta l’articolo 17-ter del Dpr 633/1972, ha introdotto il meccanismo della scissione dei pagamenti. In sostanza, gli enti statali centrali e territoriali, le Asl, le Camere di commercio, le Università e altri compresi nel provvedimento, dall’1 gennaio 2015 una volta ricevuta la fattura devono pagare all’azienda fornitrice di un servizio o che ha ceduto o prestato un bene, soltanto l’imponibile dell’Iva, trattenendo invece l’ammontare dell’imposta per poi versarla in un secondo momento direttamente all’Erario. Da qui l’idea della scissione del pagamento: il corrispettivo del servizio o del bene viene saldato all’azienda che però non incassa l’Iva, nonostante l’abbia prevista nella sua fattura, e solo in un secondo momento potrà chiederne il rimborso così da attuare il meccanismo della compensazione.

GLI OBIETTIVI DEL GOVERNO

Nelle intenzioni del governo, e in particolare del ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan, lo split payment dovrebbe garantire all’Erario il versamento diretto (e quindi sicuro) dell’Iva da parte dello Stato, scongiurando l’eventuale coinvolgimento della Pubblica amministrazione in situazioni di frode. Si vuole quindi evitare che le aziende fornitrici si tengano stretta e non versino l’Iva a debito incassata a loro volta da aziende pubbliche o direttamente dallo Stato.

E’ infatti la lotta all’evasione fiscale il principale obiettivo di questo sdoppiamento del pagamento: vedendosi tolta la funzione di pagare l’Iva, le imprese fornitrici si trovano impossibilitate a frodare il Fisco intascandosi quelle somme. In tal modo, ragiona l’esecutivo, le casse statali si gonfieranno a suon di imposte pagate e i presunti furbetti si ritroveranno senza margini di manovra.

LE CRITICHE E LE PROTESTE DELLE IMPRESE

Dalla petizione lanciata dai costruttori dell’Ance al duro intervento dei Giovani di Confapi, fino alla mobilitazione di Confartigianato. Lo split payment ha riscosso soprattutto critiche e polemiche tra le imprese, convinte che con questa norma introdotta per combattere l’evasione fiscale in realtà si finisca (ancora una volta) per penalizzare chi, nonostante tutto, cerca di creare lavoro. Non potendo incassare l’Iva – spiegano a Formiche.net diversi imprenditori che lavorano con la Pubblica amministrazione – le aziende non riusciranno in seguito a compensarla, danneggiando quindi la loro liquidità già fortemente compromessa dal credit crunch. Senza dimenticare che il meccanismo dello sdoppiamento – sottolinea un piccolo e medio imprenditore – prevede un ulteriore adempimento da parte dell’impresa, la quale dopo aver emesso la fattura (e chissà quando riuscirà a incassarla), dovrà anche preoccuparsi di riscuotere l’Iva direttamente dall’Erario (trimestralmente o annualmente) senza poterla compensare con altri acquisti di beni o servizi. E così, ai tempi lunghi del saldo delle commesse da parte della Pubblica amministrazione, si aggiungono quelli del rimborso dell’Iva, con buona pace dello stato di salute finanziaria che finirà inevitabilmente per rimetterci. Non proprio una bella mossa – protestano le piccole e medie imprese – per chi si riempie la bocca con slogan sulla lotta alla burocrazia salvo poi introdurre una nuova complicazione per le imprese. D’altronde, è il concetto stesso di “scissione” a prevedere un appesantimento delle procedure: quel che prima si faceva in un solo momento, adesso lo si deve fare in due.

LA CIRCOLARE DELLE ENTRATE E LE MANCATE RISPOSTE

La circolare del 9 febbraio scorso dell’Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti, definendo con maggiore precisione i soggetti pubblici destinatari e accogliendo la richiesta avanzata da Confindustria per evitare sanzioni a comportamenti difformi ma in buona fede effettuati prima della pubblicazione della circolare stessa. Tuttavia, nessuna risposta è arrivata sul fronte delle aziende a credito, per le quali anche da ambienti confindustriali era arrivata al dicasteero la richiesta di rendere inapplicabile lo split payment. Questo sistema, sostengono molti imprenditori sentiti da Formiche.net, non ha alcuna motivazione nei confronti delle aziende strutturalmente a credito di Iva, le quali con la scissione dei pagamenti vedranno crescere ulteriormente il loro credito dell’imposta con la conseguenza di un peggioramento della loro situazione finanziaria e dei relativi costi in termini di interessi passivi. Da qui l’idea di escludere queste imprese dal provvedimento, lasciando che riguardasse solamente quelle a debito di Iva. Ma come individuare un’azienda strutturalmente a credito di Iva? Anche in questo caso sono arrivati alcuni suggerimenti, in particolare dal COBES (che rappresenta le società emettitrici di buoni pasto aderenti a Confindustria Federvarie): si potrebbe, infatti, fare riferimento soltanto a coloro che hanno titolo per richiedere ordinariamente il rimborso trimestrale di Iva, cioè a chi effettua operazioni attive con aliquota media inferiore all’aliquota media su acquisti e importazioni, oppure a chi effettua operazioni non imponibili per un ammontare superiore al 25% delle operazioni effettuate. Infine, la qualifica di azienda strutturalmente a credito – quindi esonerata dallo split payment – potrebbe essere rilasciata direttamente tramite certificato dalla stessa Agenzia delle Entrate.

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