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Ecco come Egitto e Qatar bisticciano sulla Libia

Nuove scintille tra Doha e Il Cairo. Dopo la scelta di al-Sisi di bombardare postazioni jihadiste in Libia a seguito della decapitazione di 21 copti egiziani, il Qatar ha richiamato il suo ambasciatore.

La motivazione ufficiale è naturalmente diplomatica: “Per consultazioni“. Ma come sottolineano diversi osservatori, dietro lo strappo si nascondono la competizione e le mire sull’ex regno di Muammar Gheddafi.

GLI SCHIERAMENTI

Il Paese nordafricano, è sempre più terreno di scontro per un braccio di ferro tutto interno al mondo arabo. “In Libia – ha spiegato Cinzia Bianco, analista esperta di Medio Oriente e Mediterraneo per la Nato Defense College Foundationle due macro-fazioni che si contendono il Paese sono sostenute da un lato da Turchia e Qatar e dall’altro da Egitto ed Emirati Arabi Uniti. I primi sostengono il vecchio parlamento, il Gnc; i secondi Tobruk, la nuova assise riconosciuta dall’Occidente“.

LE MIRE DEL CAIRO

Il Cairo, in particolare, preme da tempo per un intervento militare nel Paese, appellandosi al bisogno di contrastare il terrorismo e al “diritto” egiziano, sancito dall’Onu, “a difendere i propri cittadini all’estero“, presenti in grande numero nell’Est della Libia. Dietro le fibrillazione egiziane, ha spiegato a Formiche.net il generale Carlo Jean, ci sono però innanzitutto “mire territoriali sulla Cirenaica, l’area più orientale del Paese nordafricano. È lì – ricorda l’esperto di geopolitica – che si trova la massa di giacimenti libici petroliferi“. Ma anche ragioni puramente politiche. “Il governo del Cairo tenta di riconquistare la leadership del mondo arabo risalente a Nasser. Fautore del panarabismo laico e nazionalista rispetto al panislamismo propugnato dai Fratelli musulmani“.

LA POSIZIONE DI DOHA

La posizione del Qatar – come ha sottolineato il direttore del dipartimento per gli Affari arabi del ministero degli Esteri, Saad bin Ali al Mohanadi – è invece diametralmente opposta ed è stata esposta alla riunione dei ministri degli Esteri arabi del 15 gennaio scorso: “Non bisogna rafforzare alcuna parte del conflitto ed attendere al formazione di un governo di unità nazionale“.

L’ACCUSA DI TERRORISMO

In questo quadro di contrapposizione e interessi divergenti, a irritare il Qatar, spingendolo a richiamare il suo diplomatico, sono state le parole dell’inviato egiziano alla Lega Araba, Tareq Adel, che criticando Doha per le sue riserve in ordine ai raid aerei egiziani, l’ha accusata di sostenere i terroristi. I qatarini, a loro volta, avevano già espresso, proprio in seno alla Lega araba, perlessità riguardo la decisione unilaterale dell’Egitto di effettuare i raid senza prima consultare gli altri Stati arabi, tra i quali la tensione è alta da tempo.
Il timore che l’emirato sostenga dietro le quinte gli islamisti aveva già avvelenato lo scorso anno le relazioni tra le monarchie petrolifere del Consiglio di cooperazione del Golfo.

LA SCELTA DELL’ONU

Proprio ieri l’Onu, riunita in Consiglio di sicurezza, ha deciso che per il momento la crisi libica verrà affrontata seguendo la linea occidentale, basata su una soluzione politica (qui il comunicato ufficiale diramato al termine dell’incontro), bocciando l’idea di un intervento militare sostenuta dal Cairo.

CHI SOSTIENE L’EGITTO

La situazione, però, rimane caotica, perché a dispetto delle posizioni ufficiali, nei suoi bombardamenti contro l’Isis, l’Egitto non è solo, almeno idealmente, come aveva scritto Formiche.net. Sono molti i Paesi che, per motivi differenti, sostengono dietro le quinte la politica interventista del Cairo, pur invocando il perseguimento di un’azione diplomatica affidata alle Nazioni Unite. Parigi, Londra, Mosca, Tel Aviv, Riyad: sono queste alcune delle capitali che non hanno partecipato ai raid, ma hanno reagito in maniera morbida alla rabbia egiziana, esplosa dopo il massacro dei cristiani copti. In particolare la Francia ha stabilito con l’Egitto un rapporto proficuo, che si è tradotto subito nei 24 caccia Rafale venduti al Cairo; Israele vuol stanare le bande jihadiste annidate nel Sinai; mentre la Russia sostiene economicamente l’Egitto e lo usa come leva per ritagliarsi un ruolo da protagonista nel Mediterraneo. E a conferma dell’asse tra Russia ed Egitto c’è la notizia diffusa da Tass secondo la quale, proprio da Mosca, potrebbe arrivare un aiuto decisivo per le sorti della crisi libica e per lo spostamento degli equilibri a favore di Tobruk. Il Cremlino sarebbe disponibile a farsi portavoce alle Nazioni Unite di una revoca dell’embargo sulle armi per il governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, perché possa avere maggiori chance di imporsi sia sui terroristi, sia su quello parallelo, insediatosi a Tripoli.

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