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Cosa Pubblica? I Care!!!

Credo che gli artefici della svolta di una nazione devono essere i suoi cittadini.
Già tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento la “cosa pubblica” chiama a raccolta i cittadini più attenti che accettano incarichi di responsabilità e di consulenza. Parini, Verri, Beccaria, Manzoni, a che titolo parlavano e denunciavano le cadute e le ingiustizie dell’epoca? “I care!”, ci avrebbero risposto.

Allora la domanda è d’obbligo: l’Italia oggi è… troppo povera di fascino (“Tanto, ormai…”) o è troppo ricca di fascinosi (“Io sì che…”)? Non mancano uomini e donne attenti a rivestire un ruolo, tanto apparentemente politically correct, quanto in realtà imbottito di parole viziate dall’ideologia e scollegate dalla ragione. Intanto “si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”.

Pensiamo alla scuola considerata dai più un bene di tutti! Se ne siamo realmente convinti, allora ne deve seguire necessariamente da parte di tutti un coinvolgimento. E chi sono questi “tutti”, se non Famiglia, Scuola e Societas?

Quale intelligenza è sottesa all’educazione, alla formazione delle giovani generazioni? Quale strategia è posta in essere dalle Istituzioni (Stato, Chiesa…) affinchè il buono, il bello, il vero che il Paese ha espresso nei secoli continui ad alimentare la vita sociale, culturale, politica delle generazioni a venire? “Oggi la crisi epocale che coinvolge l’Europa rimette in discussione tutte le nostre conquiste. Per questo bisogna impegnare le forze migliori per proporre nuovi modelli di sviluppo, sia a livello locale che nazionale, per ridare un futuro ai nostri figli.” (Primo Gonzaga, economista). 

Uno sguardo alla realtà
Ogni macro-sistema è frutto di micro-cellule che – se indebolite o malate, portano al collasso. La cellula prima è la persona e il suo humus è la famiglia. E’ indubbio che la famiglia, per esistere, debba essere al cuore di una rete di rapporti, relazioni, sostegni, incentivi, che hanno senso in quanto le danno vita e ne alimentano i componenti: le persone.

La scuola è in stretta interdipendenza con questa cellula della società; rappresenta per la famiglia il pilastro della speranza, l‘apertura al futuro, il necessario strumento del nucleo familiare alla propria crescita materiale, morale, spirituale. Sono concepite – ab ovo, dalla nebbia dei tempi – l’una come supporto strutturale dell’altra e la crisi dell’una inevitabilmente si ripercuote sul destino dell’altra.

Non è un caso che in Italia, da alcuni decenni, la crisi della famiglia e della scuola abbia subìto una accelerazione e come un avvitamento su di sé: al fondo di questa grave difficoltà, che rischia di pregiudicare l’esistenza dell’una e dell’altra, lo sguardo attento coglie il punto di rottura, o la chiave di volta che sta per cedere: alla famiglia non è garantita quella libertà di scelta del proprio futuro che le compete in quanto tale, a prescindere dai dettati legislativi e – meglio – a fondamento del proprio essere.

La famiglia è il regno della libertà, a partire dal suo costituirsi (“famiglia per forza” sono termini in contraddizione e… causa di nullità!) e nella luce del suo futuro: i figli, concepiti e fatti crescere, come sarebbe auspicabile, nella piena libertà di formazione ed educazione. Di conseguenza, la scuola riflette e si nutre della libertà insita nella struttura vitale della famiglia. E’ la fonte della libertà di insegnamento e della pluralità di offerta formativa, che sole possono essere degnamente al servizio di persone libere.

In Italia non è libera, la famiglia, di “far crescere” i propri giovani secondo la propria legittima visione della realtà, in un ambito di valori civili. Lo Stato la ritiene non in grado di prendere libere decisioni rispetto al futuro dei propri figli. La famiglia è “interdetta”. Paga le imposte per la scuola pubblica (di tutti), ma non può sceglierla. La Costituzione italiana enuncia una libertà che non è garantita, oltre ogni logica di Stato di diritto che è tale nella misura in cui sa “garantire” (cioè far sì che si realizzino) i diritti che “riconosce”.

In Italia lo Stato fornisce l’istruzione senza considerare la libertà di scelta della Famiglia, in quanto… evidentemente la ritiene “incapace di intendere e di volere” nella facoltà di scegliere il servizio scolastico pubblico, formato da Scuole pubbliche statali e paritarie. In Italia sceglie solo chi è ricco: paga due volte, le imposte statali e le rette scolastiche delle scuole pubbliche paritarie, inserite nel Servizio Nazionale di Istruzione, ma inaccessibili al cittadino che paga le tasse.
Non occorre essere un’aquila perché il cittadino contribuente si ponga questa semplice domanda: “Se lo Stato non riesce a garantire i diritti riconosciuti, a che serve riconoscerli? E’ deprimente… Tanto vale lasciare spazio alla dittatura. C’è più coerenza”. Anche il cittadino parlamentare non necessita di un elevatissimo QI per chiedersi: “Che garanzia diamo ai cittadini se diciamo e disdiciamo, riconoscendo un diritto e simultaneamente negandolo? Con quale faccia tosta ci presentiamo sul cartellone elettorale?” Credibilità pari a zero. “Perché ci struggiamo per riconoscere nuovi diritti inventati, mentre siamo incapaci di garantire quelli riconosciuti, che degli inventati dovrebbero essere il fondamento?”…

Domande come macigni … alla prossima.

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