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Ecco le priorità per rilanciare opere pubbliche e costruzioni. Parla Buzzetti (Ance)

Facciamo ripartire l’edilizia per far ripartire il Paese. Sembra uno slogan ovvio ma secondo noi è la chiave di lettura economica per capire il momento che sta attraversando l’Italia”. Mentre al Senato si discute del nuovo codice degli appalti che il governo ha promesso di approvare entro la fine del 2015, il presidente dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) Paolo Buzzetti affida a Formiche.net la sua ricetta per il rilancio del settore e dell’economia.

Presidente Buzzetti, parliamo del disegno di legge delega che porterà al nuovo codice degli appalti. Qual è il suo giudizio? Siete preoccupati che l’approvazione definitiva possa slittare visto che al momento siamo ancora alla fase delle audizioni in Senato?

“Senza dubbio costituisce un’occasione da non perdere. Ci consente di migliorare le cose e di riprendere il filo del sistema degli appalti, che non funziona e che ha subito negli ultimi anni decine e decine di modifiche legislative. Siamo d’accordo sui principi contenuti nel disegno di legge delega. Aspettiamo di vedere cosa stabilirà nel dettaglio il decreto legislativo del Governo. Ovviamente, prima facciamo e meglio è. Ci stanno lavorando da tempo ma viene da pensare che il provvedimento possa slittare. E’ entrata in gioco l’Autorità Anticorruzione di Raffaele Cantone che può svolgere un ruolo positivo anche per quanto riguarda il rispetto dei tempi. L’importante è che il risultato finale sia buono”.

Quale novità la convince di più di questo disegno di legge?

“E’ molto apprezzabile il cosiddetto divieto di goldplating che impedisce agli Stati membri di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli europei. In alcuni casi andrà modulato ma va nella giusta direzione di semplificare e alleggerire la burocrazia. Si pensi ad esempio alle multe che sono state previste per le imprese che abbiano commesso errori nelle dichiarazioni di gara. Questa norma è una vera e propria vessazione perché se l’impresa ha sbagliato in modo grave deve essere esclusa dalla gara mentre, se l’errore è lieve, gli deve essere consentito di rimediare. Queste multe invece sono state previste per fare cassa sulle aziende ma grazie al divieto di goldplating ciò non potrà più accadere”.

Voi chiedete che il mercato delle costruzioni sia aperto alla concorrenza. Sotto questo profilo a che punto siamo?

“In Italia c’è stata una tendenza all’accorpamento dei lavori per semplificare la vita delle stazioni appaltanti, ma non ha dato risultati e ha creato condizioni sfavorevoli per le piccole e medie imprese. Le direttive europee ci chiedono trasparenza e concorrenza. Questo tema è particolarmente sentito anche per quanto riguarda i concessionari pubblici che se non hanno vinto in gara la propria concessione, devono appaltare sul mercato tutti i lavori da realizzare. Attualmente, invece, il 60% dei lavori dei concessionari viene fatto con gara, mentre il resto in house con ripercussioni sulla concorrenza. E lo stesso vale per le società municipalizzate che, nella maggior parte dei casi, non fanno gare. Stime prudenti ci dicono che il 30% del mercato dei lavori pubblici sfugge alla concorrenza”.

Nel nuovo codice ci sarà una prima forma di regolamentazione delle lobby e probabilmente anche il riconoscimento del dibattito pubblico alla francese. Qual è la vostra opinione?

“Il dibattito alla francese per noi va assolutamente bene perché consente di interessare la cittadinanza a monte della partenza di un’opera e di trovare il consenso. Permette, quindi, di dare tempi certi alla realizzazione con una decisione che, una volta presa, non dà più spazio neppure concettuale agli estremismi. L’attività di lobby all’anglosassone, invece, non la vedo così positivamente trasferita in Italia perché credo rischi di creare una situazione di confusione nella rappresentanza degli interessi e delle posizioni. Cosa molto diversa dalle tradizionali associazioni di rappresentanza che sono conosciute e qualificate e la cui attività di lobby è trasparente, nota e, quindi, conoscibile”.

E’ opinione condivisa che il rilancio dell’economia italiana passi attraverso lo sviluppo delle infrastrutture e delle opere pubbliche. Quante risorse servono secondo lei e da dove dovrebbero arrivare?

“Da qui al 2020 stimiamo che servano 130 miliardi di euro per garantire un adeguato sviluppo del Paese dal punto di vista delle infrastrutture. Sotto questo profilo, però, il piano europeo firmato dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker secondo noi è asfittico. In questo senso – Carlo Cottarelli “docet” – la soluzione migliore rimane quella di tagliare gli sprechi e rimodulare la spesa dando priorità agli investimenti. Negli anni di crisi la spesa corrente è fortemente aumentata. Ad esempio, i comuni hanno visto crescere la loro spesa corrente in totale del 17%, a fronte di un taglio enorme degli investimenti che, in alcuni casi, sono diminuiti del 50%. In buona sostanza, lo Stato invece di dimagrire è ingrassato. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, con le imprese che non lavorano e le opere pubbliche che non vengono realizzate”.

Abbiamo parlato di opere pubbliche. Facciamo però anche un piccolissimo cenno all’edilizia privata con la riqualificazione che di fatto ha tenuto in piedi il settore durante la crisi. E’ questa l’unica strada da percorrere?

“La riqualificazione è veramente il futuro ma in Italia ancora non ci sono adeguati strumenti normativi e fiscali. Negli Usa o in Inghilterra, ad esempio, vengono attribuiti sgravi fiscali alle aziende che riqualificano determinate zone o determinati quartieri. In questo modo, la riqualificazione è effettiva perché l’interesse delle imprese viene di fatto a coincidere con quello pubblico. Le imprese sono incentivate a riqualificare quell’area perché in tal modo possono accedere agli sgravi fiscali mentre, d’altro canto, viene anche raggiunto l’obiettivo sociale di cambiare radicalmente interi quartieri. Questo è il modello che dovremmo seguire”.

Infine, una notizia sulla vostra associazione perché le grandi imprese del settore delle costruzioni – dal 1996 riunite nell’AGI (Associazione Grandi Imprese) – stanno tornando in ANCE. Cosa cambierà soprattutto con riferimento alle grandi opere infrastrutturali di cui l’Italia ha così tanto bisogno?

“Oggi la rappresentanza va semplificata. Con questo passo puntiamo a presentare in modo sempre più chiaro e trasparente le nostre istanze al Governo e al Parlamento. Le grandi imprese che tornano in ANCE – con il nuovo Comitato grandi infrastrutture strategiche guidato da Paolo Astaldi – ci aiuteranno a farlo meglio e in modo sempre più completo”.

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