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Il crollo del risparmio europeo

L’epopea delle famiglie europee, non più formiche ma neanche cicale, si può leggerla in filigrana osservando un grafico contenuto nell’ultimo bollettino economico della Bce, dove una curva descrive l’andamento del tasso di risparmio dal 2000 al 2014.

Non più formiche, ma neanche cicale, le famiglie esibiscono un tasso di risparmio schiacciato a quota 13% ormai da quattro anni, che rappresenta bene lo strano paradosso in virtù del quale le famiglie risparmiano meno, ma non per questo consumano di più. Paradosso che racconta bene la storia di questi ultimi anni europei, dove la crescita ha rallentato fino quasi a fermarsi, insieme con i prezzi, che sono piombati in territorio negativo malgrado le generosità monetarie della Bce.

Per capire come i tassi di risparmio si correlino all’andamento economico, è opportuno ricordare come fa la Bce che “il rapporto tra risparmio e reddito è un indicatore importante del comportamento delle famiglie che incide sulla dinamica dei consumi privati reali e, più in generale, sul ritmo della crescita economica”.

In teoria la dinamica dei risparmi viene influenzata da diversi fattori: “In periodi di elevata incertezza le famiglie di norma aumentano la quota di reddito disponibile che viene risparmiata a fini precauzionali. Per contro, gli effetti sui consumi degli shock avversi ma temporanei al reddito disponibile sono mitigati di norma da un calo del tasso di risparmio”.

Ebbene, negli ultimi anni il tasso di risparmio delle famiglie dell’area euro si è stabilizzato su livelli “relativamente bassi rispetto alla media storica”. Basti ricordare che ancora nel 2008, come d’altronde nel 2002, il tasso di risparmio viaggiava intorno al 15%.

La Bce nota che “nella prima fase della recessione e nel periodo immediatamente successivo, ossia tra il 2008 e il 2010, il tasso di risparmio delle famiglie è salito temporaneamente, sospinto soprattutto dalla fragilità della
fiducia dei consumatori, per poi tornare a scendere”.

Il motivo precauzionale, quindi, ha spinto il tasso di risparmio fino al 14,9% nel primo trimestre 2009, probabilmente potendosi giovare, i risparmi, delle politiche espansive che gli stati hanno attuato nell’immediato del bust per far fronte al panico che stava congelando i mercati.

Ma proprio come una rondine non fa primavera, un aumento del risparmio precauzionale non è mai un buon presagio per l’economia, visto che nasconde un timore che non attende altro che essere esternato appena la situazione si normalizzi.

Cosa che nell’eurozona è accaduta lungo il corso del 2009. La Bce interpreta il crollo del tasso di risparmio intervenuto quell’anno, al termine del quale il risparmio era tornato al 13% da dove non si è più mosso, come il contraltare dell’aumento di fiducia registratosi nel frattempo. L’equazione è semplice:la gente ha di nuovo fiducia e quindi smette di risparmiare per timore del futuro.

Ma potremmo anche spiegarlo diversamente. Il clima di fiducia, che la Bce misura con un indicatore rappresentato con una curva, sembra migliori drasticamente anche nel corso del 2012, quando esplode la crisi degli spread, senza che ciò sposti in maniera significativa la curva del risparmio. A significare che, in quel periodo non è stata più la componente emotiva a spiegare le decisioni di risparmio delle famiglie ma quella, assai più prosaica, della contabilità.

L’esplodere della crisi degli spread, infatti, coincide con una dinamica assai debole del reddito disponibile, specie nei paesi sotto stress, cui si aggiungono anche le scelte di politica fiscale restrittive che tale dinamica hanno aggravato e le scelte di politica monetaria, che hanno senza dubbio scoraggiato il risparmio e lo scoraggeranno ancor di più in futuro.

Reddito al rallentatore e scarso incentivo al risparmio non sono bastati tuttavia a trasformare la ex formica in una cicala. I consumi privati reali delle famiglie, infatti, seppure in lieve ripresa dai minimi del 2008 e del 2012 sono ancora ben lontani dai livelli pre crisi, con un tasso di crescita registrato, nel 2014, di appena l’1% sull’anno precedente a fronte del 2-3% di prima del 2008.

Sembra di capire che le famiglie risparmierebbero di più se potessero, ma gli incrementi di reddito sembrano appena sufficienti a coprire le esigenze dei consumi.

Ovviamente le cose cambiano parecchio se andiamo a vedere i singoli paesi.

La media del 13% della zona nasconde profonde differenza fra i singoli paesi, con la Spagna notevolmente al di sotto della media (circa il 9%) e la Germania intorno al 16% esibendo dinamiche assolutamente differenti.

In Spagna, prima della crisi, il risparmio era inferiore all’8%, poi si porta quasi al 16 nel 2009, grazie al sostegno fiscale del governo, ma da quel momento in poi comincia a declinare e adesso è al livello del 2005. Segno che gli stimoli fiscali sono sempre temporanei e le dinamiche sottostanti all’economia tendenzialmente inerziali.

In Germania, al contrario, il tasso di risparmio si è mantenuto costante dal 2000 in poi sempre intorno al 16%.

In Italia il crollo del risparmio è stato vistoso. Ancora intorno al 14% nel 2008, è arrivato poco sopra il 10% nel 2010 e adesso è risalito al 12%, comunque al suo minimo nella serie considerata, a fronte di un andamento del reddito disponibile declinante o, nel migliore dei casi, debole e di consumi ancora assai incerti.

Adesso la Bce conta sui ribassi petroliferi, che potrebbero spingere di nuovo in alto i risparmi europei e auspica che gli aumenti di reddito finiscano con trasferirsi finalmente sui consumi, ancora globalmente anemici.

Insomma: la Bce spera che la formica si decida a diventar cicala.

Peccato che l’estate stia finendo.

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