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L’amuchina dell’editor

Valentina ti guarda, si fa due conti alla fimminina, in ossequio ai valori dell’oggi che sono velocità e semplificazione, e ti dice con ragione: – Oggi tutti hanno un libro nel cassetto, tutti ritengono di avere una storia di un antenato che non può non essere pubblicata -. Se Valentina scrive, se sa scrivere, non lo sappiamo. Chissà è possibile che pure lei abbia qualcosa nel cassetto. Certamente però, Valentina sa come gira il fumo nel mondo dell’editoria specie in questo crinale buio e modesto in cui ci siamo infilati. Un tempo che è un mezzo tempo, quello in cui gli scrittori capaci di emozionare ora insegnano e chi vendeva televisioni, stampanti e lavatrici e che ora vende prosciutti, zezzone e vino, scrive.
E’ vero, ad avere questa smania di scrivere – perché abbiamo tutti una storia triste dalla quale scappiamo cercando sulla tastiera della vita, foss’anche il capoverso successivo – siamo tanti, troppi. Un numero troppo alto rispetto a quello dei lettori.
Eppure due cose sono vere anche in tema di scrittura ed editoria. Che la differenza la fanno le persone. E che il pesce puzza dalla testa.
Sandra un giorno, non molto tempo fa, mi ha raccontato una storia molto personale. Anche lei aveva una sua storia privata e intima che avrebbe voluto trasporre e farne letteratura. La mandò a un editore. La regina degli editori. E lei, la regina, poco tempo dopo prese il telefonò e chiamò Sandra. Voleva capire se l’autrice di quel testo così bello e coinvolgente avesse veramente voglia di renderlo pubblico. Quella telefonata, tutto un manuale di garbo, superava in gratificazione qualunque tiratura da best seller.
Ecco, oggi quando spedisci una proposta editoriale a una casa editrice, ricevi, se va bene, una mail di risposta dentro a un file word allegato senza oggetto, né testo. Come se la persona dall’altra parte del computer si guardasse bene dall’entrare in contatto con te, rischiando chissà quale contagio o contaminazione.
Queste segreterie delle case editrici mi ricordano il drappello di medici e infermieri alla visita di leva. Che, giustamente, erano tutti ben protetti con tanto di guanti e camici di fronte alla fila interminabile di giovani palle da toccare. Che non portino fortuna? Sic!

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