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Bad bank? No grazie, meglio una Opportunity Bank

Non c’è dubbio che il dibattito sulla necessità o meno di approfondire il progetto di una Bad Bank in Italia sia ormai entrato in una fase calda ed abbia diviso economisti, banchieri e rappresentanti istituzionali in fazioni “l’un contro l’altra armate”.

Premesso che continueremo a parlare di Opportunity Bank (OB) e non di Bad Bank per sottolineare che la finalità di questo soggetto è quella di offrire una nuova opportunità alle nostre PMI e non quella di salvare le nostre banche, partiremo proprio da ciò che sostengono i detrattori del progetto.

Tra questi, ad esempio, alcuni evidenziano la tardività dell’iniziativa e, soprattutto, la sua sostanziale inutilità in presenza dell’attivazione del Quantitative Easing da parte della BCE. In realtà, il varo di una OB nell’attuale scenario italiano diventa di primaria importanza in quanto potrebbe limitare il rischio che il buster della Bce possa esaurire la sua forza prima di aver impresso alle nostre PMI una accelerazione verso l’uscita dalla crisi.

Il punto, infatti, è che il QE è stato impostato in modalità “credit easing”, ossia con il sistema bancario come perno della manovra: la BCE acquista prevalentemente titoli di stato dagli istituti, libera i loro attivi e li spinge, anche in presenza di rendimenti alternativi pressoché inesistenti, ad impiegare la liquidità ottenuta a sostegno del tessuto produttivo.

Tuttavia, se la variabile credito diventa fattore fondamentale per la buona riuscita dell’intervento della BCE, in Italia dovremo fare la massima attenzione a quella massa di credito deteriorato che appare perfettamente in grado di ostacolare la discesa dei benefici dalla BCE alle nostre aziende per il tramite del sistema bancario. Si tratta, come noto, di una massa costituita da oltre 300 mld di credito non performing, di cui 185 mld di sofferenze (+16% su base annua), che si ostina a non dare alcun segno di cedimento.

Ora, l’importanza di attivare una Opportunity Bank deriva proprio dal fatto che the worst-case scenario per l’Italia non è affatto quello legato ad una perdurante stagnazione dell’economia a livello europeo. Lo scenario che ci dovrebbe davvero levare il sonno è piuttosto quello che vede le aziende europee ripartire grazie alla extra – spinta della BCE e le nostre imprese impossibilitate ad agganciare la ripresa a causa di questo fardello di deteriorato che ingessa il nostro sistema bancario.

Anche perché, verosimilmente, si innescherebbe, dopo breve tempo, una reazione a catena in grado di far avvitare la situazione. Infatti, nell’ipotesi di una ripartenza (solo degli altri), la “cabina di regia” europea – nell’ambito della quale si prendono circa il 70% delle decisioni economiche che ci riguardano – si metterebbe rapidamente in movimento. Più in particolare da questa cabina, come noto occupata “manu militari” da tedeschi e gregari, inizierebbero a partire tutta una serie di impulsi restrittivi e di pressioni sulla BCE volti a ridimensionare le misure espansive sin qui adottate (LTRO, TLTRO, QE etc).

Ad esempio, nello scenario descritto, Mario Draghi molto difficilmente riuscirebbe a prorogare il QE oltre i termini previsti anche a fronte dell’esigenza dei Paesi maggiormente sotto pressione di usufruire ancora di misure espansive di sostegno. Posto, dunque, che non possiamo permetterci il lusso di farci sfuggire una eventuale ripresa da QE in quanto impegnati ad attendere un improbabile assorbimento spontaneo della massa di credito deteriorato, il progetto Opportunity Bank non può essere assolutamente cestinato frettolosamente.

Ma, soprattutto, se si vuole davvero creare uno strumento in grado di rilanciare il nostro tessuto industriale, serve un progetto a connotazione pubblica o mista che sia in grado di incidere in tempi stretti, grazie ad un mix di interventi fiscali e di garanzie statali, sulla massa critica di deteriorato. Serve un progetto di ampio respiro che coinvolga anche le banche minori che hanno svolto, durante questa crisi, una funzione di ammortizzatore su quelle PMI, ancora sostanzialmente sane, ma non più gestibili dalle banche maggiori a causa dei rating troppo elevati.

Altrimenti il rischio concreto è che il progetto Opportunity Bank diventi solamente un affare per grandi, ossia riservato a poche banche grandi per la gestione di poche grandi posizioni in default. Soluzioni privatistiche quali quelle varate da Intesa, Unicredito e KKr possono rivelarsi anche utili nello specifico, ma aiutano ben poco le nostre PMI nel loro sforzo di non perdere quello che potrebbe essere un ultimo treno.

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