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Strage al Tribunale di Milano, chi spara pallottole e chi spara parole

Ieri, dopo i terribili omicidi consumati nelle aule del Tribunale di Milano, ho scritto una nota. Non avrei ripreso il discorso, che confermo, se non avessi letto cose su cui è bene ragionare.

Il Presidente della Repubblica ha fatto bene a riunire il Consiglio superiore della magistratura e a stigmatizzare gli attacchi a giudici e pm. Attacchi che ci sono stati, ma non vanno confusi con le critiche serene e pertinenti a sentenze e comportamenti considerati censurabili.

Osservo che in questa occasione il presidente avrebbe anche dovuto ricordare le altre vittime, soprattutto il giovane avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani, che con coraggio e alto senso civico testimoniava contro l’assassino di cui era stato difensore. L’ex pm Gherardo Colombo ha fatto dichiarazioni strumentali e giustamente Massimo Gramellini su La Stampa nota che sembra che l’assassino abbia ucciso perché il Parlamento ha varato la legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Non parlo poi di ciò che ha scritto Marco Travaglio.

Un altro giudice, Giuseppe Maria Berruti, direttore del Massimario della Cassazione e presidente della commissione che ha varato la riforma del codice civile, intervistato da Repubblica, ha fatto ragionamenti condivisibili. Tra l’altro, ha detto: “Il rischio è la caduta di fiducia nella legge. Chi fa causa pensa di avere ragione. Se non capisce ciò che accade, non vede la legge, vede il giudice e l’avvocato”. Parole sagge su cui riflettere.

(questo post è tratto dal profilo Facebook di Emanuele Macaluso)

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