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Osnangeles

La verità profonda per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità. Leggendo il libro con una copertina bellissima, verde, con un titolo intrigante, Osnangeles, che è la crasi tra Osnago, la Provicia dove è nato e cresciuto Francesco Mandelli e Los Angeles, il sogno di fuga da quella realtà, mi sono detta che Bukowski aveva ragione. Ho letto il libro perché il verde della copertina mi piaceva e pure le palmette, ma non sapevo chi fosse l’autore. Poi mio figlio mi ha spiegato che è l’attore dei Soliti idioti.

Una ragazza con la frangetta bionda, Elisa Sabatinelli, si è inventata una cosa molto bella e poco consciuta: Cortili letterari.  Ci si riunisce una volta al mese (da aprile a luglio) nei cortili dei palazzi storici di Fano, si incontra l’autore  in un cortile privato, normalmente non aperto al pubblico, per diffondere e supportare le opere di scrittori emergenti under 34 e le case editrici che li pubblicano. Grazie ed Elisa, al suo grande entusiasmo e al contributo volontaristico di pochi sponsor privati, ho conosciuto Francesco Mandelli che ci fa ridere con la realtà, malinconica e squallida, ritratta con poche, intense pennellate.

Ci sembra di vederla la partita che si gioca tra i rioni di Osnago, Bislac contro Picit, in campo uomini di ogni età, nani panzoni, scheletri con maglie rosse e anice tutte ugualmente attillate. Uno svetta su tutti, danzando da solo in campo con la sua maglia rossa dei Bislac, è the Parruc, un vecchio con un riporto di 36 centimetri, che durante la corsa, a causa dell’attrito del vento, si apre sulla sua testa come la coda di un pavone, come un Balotelli crestato asimmetrico. The Parruc sta lì, in mezzo al campo, corre avanti e indietro senza mai toccare la palla…è magro, longilineo, un airone fattosi uomo con un’ala sul capo che sembra che da un momento all’altro possa spiccare il volo e andare in cielo e non tornare mai più. The Parruc gioca 60 minuti di pura poesia, lui e il suo riporto, senza mai toccare la palla. The Parruc è il nostro eroe, racconta  Mandelli in una delle storie più belle che compongono il romanzo, Piccole fotografie estemporanee.

Non esiste, credo, un italiano che non conosca la realtà della Provincia, la bellezza e allo stesso tempo l’asfissia di conoscersi tutti, di essere catalogati anche con nomignoli strani. È territorio comune a tutta l’Italia, come dice il Non Jova, fonte di ispirazione per i suoi personaggi, meta di continui ritorni, per sentirsi di nuovo a casa. Allora gli ricordo che le Province sono state abolite,  ma non nel suo libro. Poi c’è Dante, un signore che sembra l’urlo di Munch: ha una malformazione per cui deve sempre stare con la bocca aperta, va in giro con le mani in  tasca e non è facile farci conversazione, non riesce a chiudere la bocca “Pora stela” dicono quando parlano di lui. Non sono mai riuscito a dirgli che io non avevo paura di lui come gli altri. Anzi, io gli volevo bene. Ora c’è riuscito, i racconti servono anche a questo.

Tutti i nostri rapporti, amicizia compresa, si basano sulla menzogna. Per quanto possiamo autoconvincerci che non è così, mi spiace ma è così. L’Autore analizza questa realtà e fornisce anche una chiave di lettura: l’unico modo di tollerarlo e poter, di conseguenza, portare avanti un rapporto è esserne coscienti o restarne completamente incoscienti, senza interrogarsene mai. Ho adorato la metafora, un po’ amara, con cui Francesco Mandelli descrive la generazione di chi è nato e vissuto in parte nell’ultimo scorcio del XX secolo: abbiamo l’impressione di essere arrivati sul palco quando il concerto è finito; stanno smontando il palco, ci sono i bicchieri di plastica accartocciati per terra, le lattine di birra, se vogliamo farci ascoltare dobbiamo inventarci qualcosa, magari metterci a suonare la chitarra.

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