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Così Landini sperona Fincantieri

Le auto sono fighe (forse), specie se le produce Sergio Marchionne, per molti. La costruzione delle navi, che pure sono più attraenti, non innesca però la stessa attenzione delle auto sui giornali. Un vero peccato.

Perché se un millesimo degli approfondimenti dedicati al Lingotto e alle rivoluzioni marchionnesche (vere o presunte) si dedicassero a Fincantieri, uno dei pilastri dell’industria italiana peraltro quotato in Borsa, si scoprirebbe che simili tensioni a innovare contratti e relazioni sindacali per farli stare al passo dei concorrenti internazionali non albergano soltanto nella mente di Marchionne.

Già, è quello che – all’incirca – ha messo per iscritto il gruppo guidato da Giuseppe Bono nel mentre gli animi sindacali si scaldavano, in primis quelli della FIOM landinesca, sul vecchio contratto integrativo prorogato da 27 mesi. Peccato che contro questa sfida simil-marchionnesca si siano accodate anche la Fim-Cisl è la Uilm-Uil.

I sindacati non hanno presentato piattaforme entro i tempi previsti, dice l’azienda. Il gruppo ha disdetto il contratto integrativo, è la versione dei sindacati, che stimano in 70 euro mensili la perdita in busta paga per i lavoratori (qui la ricostruzione della diatriba fra società e organizzazioni sindacali).

Risultato? Giovedì e venerdì prossimi ci sarà un’ora di sciopero per ogni giornata con presidio interno alla Fincantieri di Sestri Ponente, hanno comunicato ieri i tre sindacati.

Sta di fatto che la situazione impone a Fincantieri delle scelte, come quella di una maggiore flessibilità che consenta di far fronte ai picchi di lavoro senza i costi aggiuntivi derivanti dal ricorso all’istituto del lavoro straordinario, adeguandosi di fatto a quanto ha già realizzato da almeno due anni Meyer Werft, il suo principale competitor in Europa. Obiettivo: aumentare la produttività e corroborare l’efficienza.

Ma i concetti di concorrenza internazionale ed efficienza produttiva sono forse estranei a chi si balocca con coalizioni sociali similpolitiche e forse partitiche.

Chissà, magari si pensa che una società che deve affrontare competizione mondiale e sfide tecnologiche, un futuro di potenziali alleanze e un presente di commesse di prim’ordine, solo perché è posseduta al 70 per cento da una finanziaria (Fintecna) controllata dalla Cassa depositi e prestiti si possa permettere di seguire politiche alla Landini. Politiche sexy nei salotti tv ma che fanno soltanto un favore ai concorrenti esteri delle aziende italiane.

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