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Yemen: l’Iran invia una flottiglia navale nel Golfo di Aden, mentre al Qaeda prende terreno

Una flottiglia navale iraniana è arrivata nella giornata di mercoledì nel Golfo di Aden, le acque davanti alla città dello Yemen dove si concentrano i combattimenti tra ribelli Houthi e esercito regolare (che sta difendendo l’abitato dove si era rifugiato il fuggitivo presidente Abed Rabbo Mansour Hadi).

E così, mentre sul cielo yemenita volano i bombardieri della coalizione sunnita formata dai paesi arabi impegnati nell’operazione Decisive Storm, via acqua arrivano le navi da guerra sciite di Teheran: «una situazione catastrofica» l’ha definita la portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa a Sanaa, Marie Clarie Feghali ─ il conflitto sta esacerbando la carenza di cibo, acqua potabile e medicine.

Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa iraniana ISNA l’invio della 34esima flottiglia (un cacciatorpediniere e una nave logistica) nelle acque yemenite, è un’attività di routine: il ruolo sarà quello di garantire sicurezza alle navi mercantile iraniane che attraversano lo stretto di Bab el Mandeb, tra Yemen e Gibuti. Ma è ovvio che dietro c’è anche un’azione di deterrenza, che non fa altro che aumentare le tensioni tra i Paesi arabi e la Repubblica islamica, tutto, per altro, pochi giorni dopo la riqualificazione diplomatica iraniana, fortissimamente voluta dal presidente americano Obama, con l’intesa quadro sul nucleare di Teheran.

Nel frattempo, la branca locale di al Qaeda (che si chiama Aqap, Al Qaeda in Arabic Peninsula) ) sta guadagnando terreno nelle aree sud orientali, grazie al vuoto di potere e alla guerra civile ─ una situazione già vissuta in Siria, in Iraq e in Libia, con il venire meno delle strutture di governo e l’aumento del caos, le istanze jihadiste prendono spazio. Aqap ha messo una taglia sul leader delle milizie ribelli sciite Abdel Malek al-Houthi e sull’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh (che sta combattendo al fianco degli houthi), ritenuti «mali dello Yemen», e ha promesso attraverso i canali internet vicini, una ricompensa di 20 chili d’oro a chiunque li uccida o li catturi. Nei giorni passati, in un attacco alla prigione della cittadina costiera meridionale di Mukallah, i combattenti qaedisti hanno liberato centinaia di detenuti (secondo i dati forniti dal Wall Street Journal, circa un terzo degli evasi sono miliziani di al Qaeda, pronti a rinfoltire i ranghi dei mujaheddin). Il New York Times ha scritto che l’attacco è stata «la prima indicazione di come al Qaida stia capitalizzando la crescente anarchia, nel momento in cui i soldati dell’antiterrorismo addestrati dagli americani sono finiti sotto attacco dalla coalizione militare guidata dai sauditi». Circostanza, l’ingresso semi ufficiale di al Qaeda nel conflitto, che era uno dei principali timori degli analisti internazionali, e che renderà ancora più complessa la soluzione.

Il tanto sbandierato (quanto fallimentare) modello di counter terrorism yemenita, ha lasciato spazio all’attecchimento della più potente branca qaedista in giro per il pianeta, che adesso sta guadagnando terreno, controllando sempre più zone, anche sull’onda della rivalsa sunnita contro gli sciiti che “hanno prodotto” la guerra civile. Quei ribelli Houthi, a cui l’Iran ha fornito sostegno finanziario e logistico ─ anche se la piena misura del suo coinvolgimento nel conflitto non è chiara. Quell’Iran, che appena riabilitato nell’ottica internazionale dallo pseudo accordo sul nucleare, ha disposto le navi sul golfo di Aden in una chiara operazione di deterrenza geopolitica mascherata da attività di sicurezza. Non saranno giorni facili a Washington.

@danemblog

 

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