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Torniamo al 275: l’unico cambiamento della scuola pubblica e della sua organizzazione può venire solo dal basso

1. Innanzitutto ripensare la scuola è difficile perché, come sostiene anche un ex-ministro, la scuola italiana è vecchia come vecchie sono le due forze che la governano. Almeno due fino a qualche mese fa… Ora pare che una terza forza abbia una forte decisione. Le due restano sindacati e amministrazione, entrambi basati solidamente su principi conservativi, con difficoltà a gestire responsabilità.

Ripensare è difficile anche perché le lacune del sistema ormai sono così tante e tutte intrecciate tra loro al punto che (come documentano i mutamenti degli ultimi anni – debiti, condotta, indirizzi, quadri orari) singoli mutamenti parziali introducono difficoltà ad altre aspetti della scuola. Esempio per tutti il sistema dei debiti che ha complicato il processo di valutazione degli alunni nelle superiori.

Per ripensare positivamente la scuola occorre una visione chiara e coerente che a tutt’oggi non si vede neppure in Parlamento. Ma questo dopo.

Infine ripensare la scuola e rinnovarla con efficacia è difficile perché purtroppo (lo sosteneva anche il Censis nel 2013) l’istruzione non è vista nella mentalità italiana come bene primario al quale indirizzare o sacrificare risorse familiari.  E’ impressionante, da questo punto di vista, la resistenza spesso anche di molte famiglie ad una spesa in cultura, che non siano cartelle e astucci. Oppure basti notare i costi irrisori per le famiglie del triennio finale della scuola superiore non obbligatoria o i bassi costi degli studi universitari rispetto al mondo anglo-americano.

2. La scuola statale (penso sia questa quella su cui si aspettano le mie riflessioni) è un pachiderma complicatissimo, tant’è che quando un genitore, che magari viene dal mondo dell’impresa, entra in un Consiglio di Istituto non si raccapezza sul bilancio, sulle procedure, sui vincoli, sulle dinamiche sclerotizzate.

Se qualcuno vorrà cimentarsi nell’impresa (prevista del DdL 2994) a riscrivere e semplificare il Testo Unico della scuola dovrà fare una scelta: o fare una collazione dell’esistente mettendolo in ordine (cosa già di per sé meritoria data l’attuale confusione) ma ne verranno peggio del vecchio Giannarelli tre volumi da mille pagine; o mettere tutto da parte e scrivere ex novo, ma gli ci vorrà un fegato supercorrazzato.

Resta il fatto che dopo il riconoscimento dell’autonomia alle scuole statali dal 1997, le stesse hanno ricevuto ogni anno mediamente circa 300 tra Decreti, Circolari e Note al fine di dettare indicazioni su come tutte debbono operare…. Autonomamente ! Questa stratificazione sedimentale (provate a moltiplicare) metterà a dura prova chi vorrà cimentarsi con la semplificazione.

3. Le proposte attualmente in discussione al Parlamento (alle quali mi riferisco in modo molto sommario) non rispondo in alcun modo alle difficoltà attuali, perché non riprendono il cammino dell’autonomia che tutti riconoscono interrotto l’anno dopo che è stato avviato. In particolare non si risolve, di questo cammino, la questione cruciale senza la quale anche l’autonomia finanziaria sarebbe un palliativo in qualche caso controproducente. Mi riferisco alla mancata risposta ad una chiara domanda che in Italia rimane inevasa: di chi è la scuola statale ? A chi appartiene ? Allo stato ? Al preside ? Alle corporazioni ? Alla burocrazia ? Agli Enti locali ? Senza una chiara attribuzione ad un soggetto definito ed economicamente responsabile della gestione (come avviene in una scuola paritaria). Se non si da una risposta chiara a questo problema, il resto (i poteri del preside, il reclutamento del personale, la valutazione del merito) inevitabilmente o resta immutato (come pare accadrà) o viene affrontato in modo confuso e quindi inefficace.

4. Le risorse della scuola non sono poche, anche se negli ultimi cinque anni la quota italiana di PIL destinata all’istruzione è andata al di sotto della media europea (OCS 2014). Lo dicono le ricerche internazionali: le risorse sono mal distribuite ed il loro calcolo in termini di spesa pare impossibile a causa della difficoltà di reperire tutti i dati necessari dispersi in mille rivoli.

Nessun ministero competente oggi è in grado di calcolarle esattamente: l’ho toccato con mano collaborando ad una ricerca nel merito con ErnstYoung Italia nel 2013.

Anche le risorse di personale statale sono mal distribuite. Non è vero che ci sia un eccesso di personale nella scuola italiana. E’ vero invece che quello esistente è mal distribuito e utilizzato. Si va ad esempio da consigli di classe con 6 docenti (nel ginnasio) a quelli con 14 docenti (tecnico commerciale).

In Europa nessun docente statale ha 18 ore di lezione settimanali in classe e tutte le cattedre a regime sono mediamente al di sopra almeno delle 20 ore. Ma è altrettanto vero che in diverse nazioni esistono figure o funzioni della docenza che nelle nostre scuole non esistono, come quella del tutor in Germania o del documentalista in Francia ed esiste una elasticità nell’utilizzo dei docenti in Italia impossibile.

Distribuzione poco razionale e mancato controllo reale  della spesa ha creato per anni paradossi. Ne cito solo uno: agli inizi degli anni 2000 l’allora direttore scolastico della Lombardia Dutto si permise di far presente che alcuni Istituti Tecnici, Licei e Professionali avevano avanzi di amministrazione dai 300.000€ in su: è mai possibile che servizi pubblici avessero avanzi di amministrazione di queste dimensioni ?   Il tentativo di recuperarle fallì.

5. Sul mero piano economico (come però anche sugli altri piani) dalla situazione sia di confusione e mala gestione si esce (dopo aver risolto la questione di cui sopra)  solo con l’autonomia finanziaria.

Una volta calcolato il costo reale di un alunno alla primaria o alla secondaria (qualcuno dice 7500€ alla scuola del II ciclo, dove quello di un alunno delle paritarie di pari livello si attesta mediamente attorno ai 5000€) le risorse finanziarie vanno assegnate alle scuole statali e paritarie allo stesso modo, sulla base del numero degli alunni iscritti e sulla base di un calcolo nazionale che stabilisca il costo standard/alunno del servizio, in un quadro normativo chiaro che tenga conto delle debite differenze, delle esigenze di perequazione ed equa distribuzione.

Questo esige: un ministero ridotto alla metà dell’attuale capace di dare indirizzi a monte e di valutare e controllare a valle. Il modello che intravvedo dovrà essere quello di un consiglio di amministrazione radicato nella comunità locale e responsabile della spesa, con un dirigente altrettanto responsabile, valutato ogni anno, con un contratto quinquennale a scadere, che risponde ad un Consiglio che lo assume. Cioè una scuola pubblica che risponda alla comunità locale ed alle forze sociali che affidano loro i figli e che si aspettano una formazione adeguata e moderna, in un contesto organizzativo efficiente.

6. Ma come allora gestire il cambiamento ?  Termino con una proposta, che non è mia ma di DiSAL, della associazione professionale di presi cui appartengo.

Torniamo al 275 !  Non è un numero da giocare al lotto per trovare le risorse che ci mancano ! E’ l’ultimo vero atto del cammino abortito dell’autonomia scolastica. Il DPR 275 del 1999 aveva una visione chiara della scuola e indicava un cammino molto interessante. E’ rimasto là. Ma, paradossalmente è ancora in vigore.

Cosa voglio proporre ?  Non siamo in Finlandia o in Nuova Zelanda (paesi di 3 milioni di abitanti dove non è difficile che una riforma della scuola venga fatta in un mese). Nella complicatissima nostra situazione attuale gestire il cambiamento è altrettanto complicato e lo sciopero del 5 lo dimostra, come lo dimostrò le dimissioni del Ministro Berlinguer chieste dal suo partito dopo uno sciopero simile. Oggi mi pare che quel partito veda le cose diversamente, ben consapevole (poi si può discutere tutto) che dalla crisi occorra uscire e trovare soluzioni.

Ma queste soluzioni non usciranno dall’assemblearismo, dalle vertenze sindacali che sanno dire solo no e non sanno assumersi le responsabilità e le scelte difficili del cambiamento.

Noi di DiSAL siamo convinti che il cambiamento può accadere solo dal basso (come d’altronde è accaduto in questi anni). Pr questo abbiamo presentato alla Commissione della Camera una proposta, che abbiamo imparato (fatte le debite proporzioni) da come la Spagna uscì 20 anni fa dalla propria crisi istituzionale: permettere alle scuole che riescono a mettersi d’accordo all’interno di sperimentare per 5 anni una piena autonomia gestionale, finanziaria, didattica e misurandone i risultati. Un movimento dal basso che valorizzi e sostenga meriti e capacità, controllandone con cura gli esiti. Solo favorendo un movimento dal basso responsabile si può cambiare la scuola.

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