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Lettere mai rubate

Ciao mamma, sei così vecchia che quasi m’imbarazza la tua ostinazione nel praticare il canottaggio! Alla tua età dovresti stare un po’ scialla.

Sei ridicola anche quando dici che hai lavorato e invece scopro che hai pubblicato qualche sciocchezza sul tuo blog. Da grande voglio fare l’avvocato e non sarai certo tu a impedirmelo! Cerca di tornare a un’ora decente per prepararmi la cena. La prossima volta che decidi di partire lasciami almeno un maggiordomo!

 

Lettera di  Andrea 13 anni

 

Sono tornata a casa trafelata, come al solito; ho poggiato il borsone blu sul letto, mi sono messa la maglietta con il golf peloso sopra; ho acceso il fornello sotto la pentola dell’acqua per la pasta nella penombra e ho trattenuto il respiro mentre correvo in bagno. Ho messo le tovagliette all’americana, ho apparecchiato con i piatti di Vietri e ho preso due bistecche dal frigo.

Andrea mi rimprovera, dice che ha fame e che sono in ritardo, il padre, sdraiato sul letto, dove ho appena appoggiato il borsone, gli sta facendo vedere un video sul telefonino della Boat Race; ridono.

Oggi ho portato a termine quattro cause per uno dei clienti più importanti dello Studio, ma quando parlo col mio capo lui taglia corto. Potrei essere almeno un po’ soddisfatta per aver fatto guadagnare lo Studio.

Potrei essere almeno un po’ soddisfatta del fatto che quando si parla di urbanistica si crea un capannello nella mia stanza. E invece una persona che mi conosce bene mi ha dato la sua ricetta per uscire dalla depressione. Mi ha guardata negli occhi, mi ha fatto il verso di quando mi sento stanchissima e ho lo sguardo spento e mi ha detto:” Vuoi sapere qual è la mia massima?”, “sì”, gli ho risposto; dove mi pianti germoglio.

Ok, dico io, ma devi evitare di germogliare dove passano il diserbante! Ha riso. Io un po’ meno.

Capita anche alle piante che non condividono nulla con il posto dove il destino le ha portate di germogliare; perché la vita è forte e perché la vita e l’amore traggono linfa dal letame.

Poi dici a tuo figlio di assaggiare il pane fresco e lui ti risponde che sei fulminata, che gli rendi la vita impossibile perché lui non ha fame e tu non devi insistere, ti fermi e ti chiedi: sono io, è lui, cosa ho sbagliato?

Poi arriva il sabato. Mi sveglio alle 7.30 per allenarmi per la gara del 6, faccio la spesa e finalmente, barcollando arrivo dal giornalaio per comprare Il Foglio.

Leggo la rubrica del mio idolo, che se conosciuta sarebbe amica geniale e la pugnalata arriva al cuore tra parentesi. Scrive di non aver più rivolto la parola al padre per un anno (secondo me perché voleva che facessi l’avvocato) e sono morta. Tutto è finito, il giornale caduto di mano, il training autogeno per sconfiggere il senso di fallimento che mi soffoca ogni respiro è crollato e con lui l’energia del mio amico e le sue massime sono diventate aria fritta.

Mi sono sentita come Lila nel romanzo L’amica geniale, quando prende i libri di latino in prestito per studiare come la sua amica che è andata alle medie, ma che quando sente parlare del ginnasio si perde.

Sono morta con mio padre nel letto di ospedale; quando mi guardava i suoi occhi neri si rianimavano e diventavano lucenti. Mi sentivo piena di vita sui miei zatteroni, guardavo il verde degli alberi dalla grande finestra e gli trasmettevo la speranza di farcela, perché credevo che quel farmaco non ancora approvato in Italia sarebbe arrivato in tempo. Credevo che fosse immortale e che per essere felice bastasse essere accondiscendenti.

 

 

 

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